"Lei è quarta nella Trinità"
Chiara Lubich - 8 settembre 1949
By Francesco Murru
Pochi sanno che in piazza San Pietro, nel centro della cristianità, il cuore pulsante del cattolicesimo, fino a pochi decenni fa non esisteva una effige della Madonna. Le balaustre della colonnata di Bernini sono coronate da 140 statue di Santi (realizzate tra Seicento e Settecento) e tali statue non includono una rappresentazione della Vergine, presente invece San Giuseppe, curioso no? Fu il papa polacco nel 1981 a rimediare a questa mancanza con una icona dedicata alla Madonna, il mosaico "Mater Ecclesiae" che si trova sul lato del Palazzo Apostolico che dà sulla piazza.

Photo by Carlo Pelagalli
È un dato di fatto che fa riflettere. Il rapporto dei cattolici con la Vergine resta un nodo cruciale da sciogliere. Oltre Tevere, credo sia lapalissiano, provano ad arginare alcune esagerazioni dei decenni passati e chiosare persino Giovanni Paolo II che incautamente aveva agevolato e incoraggiato forme di devozione alla madre di Dio che ora presentano il conto.
"..."Mater populi fidelis" è il titolo della Nota dottrinale pubblicata martedì 4 novembre dal Dicastero per la Dottrina della fede. Firmata dal prefetto, il cardinale Víctor Manuel Fernández, e dal segretario per la sezione dottrinale, monsignor Armando Matteo, la Nota è stata approvata dal Papa lo scorso 7 ottobre. È il frutto di un lungo (trent'anni) e articolato lavoro collegiale. Si tratta di un documento dottrinale sulla devozione mariana, incentrato sulla figura di Maria che è associata all’opera di Cristo come Madre dei credenti. La Nota fornisce un significativo fondamento biblico per la devozione verso Maria, oltre a raccogliere vari contributi dei Padri, dei Dottori della Chiesa, degli elementi della tradizione orientale e del pensiero degli ultimi Pontefici." (Da Vatican News)
Mi ha colpito un passaggio tra i tanti che immagino sarà problematico sopratutto per i focolarini che temono il confronto e le correzioni come si teme Erode in sala parto:
«...uno sguardo rivolto a lei che ci distogliesse da Cristo, o la mettesse allo stesso livello del Figlio di Dio, sarebbe estraneo alla dinamica propria di una fede autenticamente mariana» (66 della nota)
Chiara Lubich fondatrice del movimento dei focolari, ufficialmente noto come "Opera di Maria" era ritenuta in vita la vicaria della Madonna. La nota "Mater populi fidelis" è quindi un setaccio essenziale ora per vagliare la sua figura, le sue idee e la sua proposta spirituale. Chiara Lubich riteneva la Madonna addirittura come "quarta nella Trinità", "...più grande di Dio: fatta da Dio più grande di Sè". Siamo ben oltre quindi la corredentrice, nodo cruciale della nota appena pubblicata. Ma sono tante le iperboli e rischiosi equilibrismi teologici dottrinali presenti nel pensiero di Chiara Lubich sulla Vergine, purtroppo difficilmente separabile da quanto poi in definitiva lei pensava di se stessa e del culto che poi ne è scaturito. Per questo è necessaria una riflessione più profonda.
Per gli "addetti ai lavori" e per i più coraggiosi, a seguire un'analisi critico-teologica del “Paradiso del ‘49” di Chiara Lubich alla luce della Nota dottrinale "Mater Populi fidelis". Si tratta di riflessioni personali. Ognuno ne faccia l'uso che ritiene più opportuno.
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La recente Nota "Mater populi fidelis" della Congregazione per la Dottrina della Fede rappresenta un intervento magisteriale che, pur non nominando esplicitamente alcun movimento o comunità, offre criteri ermeneutici applicabili anche ai testi di Chiara Lubich, particolarmente a quelli raccolti nel cosiddetto "paradiso del '49". In mio possesso ho alcuni manoscritti ricevuti di nascosto e in gran segreto durante la scuola dei focolarini. Si tratta di un testo non ancora ufficialmente pubblicato nella sua interezza, con alcuni errori di battitura e copiatura dovuti al passaggio di mano in mano. In questa analisi ne citerò alcuni passaggi comunque noti, almeno nel mondo focolarino.
Contesto storico-spirituale del ‘49
Gli anni 1945-1950 furono per l'Italia e l'Europa anni di profonda crisi materiale e spirituale. In questo contesto, la ricerca di esperienze mistiche intense, di certezze soprannaturali, di "paradisi" anche solo intravisti, aveva una comprensibile valenza psicologica e spirituale.
Nell’estate del 1949 Chiara Lubich (Chiara) riceve delle “illuminazioni intellettuali” o visioni, note a tutti i membri del movimento dei focolari come il “paradiso del '49”. Dapprima la conoscenza integrale di questa esperienza venne resa nota solo ai suoi più stretti collaboratori: le prime focolarine e i primi focolarini, per essere successivamente comunicata ad un gruppo più largo.
Sotto il pontificato di Pio XII e in particolare di Papa Paolo VI, quando il movimento dei focolari era ancora sotto “osservazione” per i dubbi che alcuni alti prelati della Curia romana nutrivano sull'incerta ortodossia del movimento dei focolari (il Card Cardinal Siri in particolare era favorevole allo suo scioglimento), tutti gli scritti spirituali relativi a quel periodo furono nascosti alla Chiesa.*
Dopo l’approvazione dei primi statuti del movimento dei focolari avvenuta nel 1962, l’esperienza del "paradiso del ’49" inizia ad essere comunicata, anche se in modo gnostico, agli interni del movimento dei focolari per avvicinarli e comprendere sempre di più l'eccezionalità e la grandezza del carisma di Chiara Lubich.
Dopo l’approvazione dei nuovi statuti del movimento dei focolari come “Opera di Maria” da parte di Papa Giovanni Paolo II Chiara si convince che i tempi siano maturi per una trasposizione nel capo teologico, economico, sociale, artistico, culturale, politico, ecc. delle intuizioni avute nel Paradiso del ’49, e per raggiungere questo obiettivo fonda nel 1990 la Scuola Abbà, centro studi del movimento dei focolari: costituita da circa 25 esperti (il cerchio più ristretto) di vari ambiti disciplinari si dà come scopo quello di elaborare una nuova teologia di dimensione universale che reinterpreti a livello teologico e delle altre scienze umane le visioni avute da Chiara nel Paradiso del ’49. Secondo Chiara infatti, dalla spiritualità dell’unità sarebbe dovuta nascere una nuova dottrina e una nuova teologia per la Chiesa che in un domani si sarebbe dovuta risvegliare “focolarina”.
Dal punto di vista della teologia mistica, questi testi si collocano in una tradizione di esperienze soggettive di unione con Dio che vengono poi verbalizzate e che richiedono sempre un attento discernimento ecclesiale. È fondamentale riconoscere che i testi del “paradiso del ‘49” appartengono al genere letterario delle "rivelazioni mistiche private". La tradizione della Chiesa ha sempre trattato con prudenza queste esperienze. San Giovanni della Croce avvertiva che anche le esperienze autentiche possono essere male interpretate o male verbalizzate dal soggetto. L'esperienza spirituale non genera automaticamente formulazioni teologiche corrette. La Nota "Mater populi fidelis" ricorda opportunamente (n. 75) che anche dopo un nihil obstat, i fenomeni mistici "non diventano oggetto di fede". Questo vale a fortiori per testi che non hanno mai ricevuto un esame magisteriale specifico e continuano ad essere, anche dopo oltre 80 anni, non fruibili da tutti e non conoscono una pubblicazione ufficiale.
Criticità dottrinali emergenti
Maria "più grande di Dio"
Uno dei passaggi più problematici del “paradiso del ‘49” si trova nella descrizione del 19 luglio 1949:
"Ora, viaggiando in Paradiso, ho ritrovato il Figlio e la Madre...., non più la giovinetta di Nazareth, la più bella creatura del mondo, ma la Madre di Dio, la genitrice di Dio, grande come il Padre e come il Figlio."
E più avanti, con ancora maggiore enfasi:
"Mai anima umana la vide così grande. Era più grande di Dio: fatta da Dio più grande di Sé."
La Nota "Mater populi fidelis" affronta esattamente questo tipo di formulazioni quando avverte (n. 46): "Maria viene presentata o immaginata come una fonte da cui sgorga ogni grazia. [...] Immaginari di questo tipo esaltano Maria in modo tale che la centralità di Cristo stesso può scomparire o, almeno, essere condizionata."
Dal punto di vista teologico, dire che Maria è "più grande di Dio" costituisce una evidente aporia logica e metafisica. Se Dio è l'Essere per essenza, l'Atto puro, l'Infinito in atto, nessuna creatura può essere "più grande" di Lui, nemmeno la Theotokos. La grandezza di Maria consiste precisamente nell'essere la prima redenta, colei che ha accolto in modo perfetto la grazia, non nell'essere ontologicamente superiore al suo Creatore.
Il linguaggio poetico-paradossale di Chiara Lubich, se non accompagnato da adeguate precisazioni teologiche, rischia di introdurre confusione nella comprensione del rapporto tra Creatore e creatura; ancor più e gravemente nel caso delle presunte visioni della Lubich visto che i transfer e i rimandi alla sua stessa persona si possono prestare ad interpretazioni fuorvianti. La Nota "Mater populi fidelis" è esplicita: "Non si fa onore a Maria attribuendole una qualsiasi mediazione nel compimento di quest'opera esclusivamente divina" (n. 55).
Maria come contenitore universale
Altro passaggio critico del “paradiso del ‘49”:
"Maria contiene Iddio! [...] Tutto era in Lei. [...] Maria non riassume in sé solo la Creazione, ma l'Universo creato ed increato ed è Lei la Paternità. [...] Tutto ciò che è, è Maria! E' Maria per partecipazione."
Questa identificazione quasi panteistica di Maria con "tutto ciò che è" eccede qualsiasi legittima forma di devozione mariana. Nella visione della Lubich, Maria non è solo mediatrice, ma diventa quasi un principio cosmico, una sorta di Sophia gnostica in cui tutto si ricapitola. Dal punto di vista della teologia trinitaria ortodossa, questo è inaccettabile: solo Cristo è il ricapitolatore universale (anakephalaiōsis, Ef 1,10), solo in Lui "tutte le cose sussistono" (Col 1,17).
Il titolo di "Corredentrice"
Il testo del "paradiso del '49" non usa esplicitamente il termine "Corredentrice", ma lo implica fortemente quando Chiara Lubich descrive Maria come cooperatrice diretta e immediata alla Redenzione:
"La Desolata in quell'attimo - per volontà divina - non partecipò alla Redenzione. Fu esclusa dal Figlio che solo s'offrì per tutti, compresa Lei. E nello stesso tempo vi partecipò con un'intensità infinita perché proprio lì fu fatta madre nostra."
La Nota "Mater populi fidelis" dedica ampio spazio (nn. 17-22) alla questione del titolo "Corredentrice", concludendo nettamente: "È sempre inappropriato usare il titolo di Corredentrice per definire la cooperazione di Maria" (n. 22). Le ragioni sono chiarissime:
- Oscura l'unicità della mediazione salvifica di Cristo
- Genera confusione dottrinale
- Richiede continue spiegazioni per non essere frainteso
Non rispetta il criterio per cui "quando un'espressione richiede numerose e continue spiegazioni, per evitare che si allontani dal significato corretto, non serve alla fede del Popolo di Dio" (n. 22)
La visione della Lubich, pur non usando il termine “corredentrice”, ne veicola sostanzialmente il contenuto quando attribuisce a Maria una partecipazione "con intensità infinita" alla Redenzione. Ma l'infinito non può essere partecipato: o si è Dio, o si è creatura. Maria è creatura redenta, non co-redentrice.
Maria "Mediatrice di tutte le grazie"
Il linguaggio della mediazione universale
Nel testo del "paradiso del '49" si legge:
"Oggi siamo Maria, la Madre di Dio, come Madre della Paternità universale. [...] Ogni Paternità che è nominata in Cielo ed in terra è da Dio [...] è vero pure che ogni Paternità è da Maria."
Questa affermazione configura Maria come mediatrice universale e necessaria di ogni grazia, posizione che la Nota vaticana affronta con estrema chiarezza e prudenza. La Nota "Mater populi fidelis" dedica l'intero paragrafo 45-55 alla questione della "Madre della grazia", mettendo in guardia contro "certe espressioni, che possono essere teologicamente accettabili, si caricano facilmente di un immaginario e di un simbolismo che trasmettono, di fatto, altri contenuti, meno accettabili" (n. 45).
Il testo della nota "Mater populi fidelis" prosegue affermando che Maria viene spesso "presentata o immaginata come una fonte da cui sgorga ogni grazia" e che "non possiamo pensare che questo mistero possa essere condizionato da un 'passaggio' attraverso le mani di Maria" (n. 45).
La grazia santificante e l'immediatezza divina
La sezione più tecnicamente teologica della Nota "Mater populi fidelis" (nn. 50-55) è decisiva per valutare il pensiero della Lubich. La Nota richiama la dottrina tomista secondo cui:
"Solo Dio può farlo, perché implica il superamento di una sproporzione 'infinita'. Questa donazione della Trinità, questo 'penetrare [di Dio stesso] nell'anima' (illabitur), implica un effetto trasformativo insito nella parte più intima del credente" (n. 50).
San Tommaso usava il verbo illabi per indicare che solo Dio può "penetrare" nell'intimo dell'anima senza violare la libertà della persona. La Nota "Mater populi fidelis" cita: "Solo Dio penetra nell'anima, nella quale si produce l'effetto sacramentale [...] la grazia, che è l'effetto interiore dei sacramenti, viene esclusivamente da Dio" (n. 50, citando Summa Theologiae III, q. 64, a. 1).
Applicando questo principio alla mariologia della Lubich, emerge una tensione irrisolta: se "tutto ciò che è, è Maria per partecipazione", se "ogni paternità è da Maria", se Maria è presentata come contenitrice universale, allora sembra configurarsi un "passaggio obbligato" attraverso Maria per giungere a Dio, contraddicendo l'immediatezza dell'azione divina nell'anima.
La Nota "Mater populi fidelis" è netta: "Non si fa onore a Maria attribuendole una qualsiasi mediazione nel compimento di quest'opera esclusivamente divina" (n. 55).
Confusione tra ordine dispositivo e ordine perfettivo
La Nota "Mater populi fidelis" distingue accuratamente (n. 46) tra:
- Mediazione dispositiva: Maria intercede e aiuta ad aprire i cuori all'azione di Cristo nello Spirito Santo
- Mediazione perfettiva: causare o trasmettere effettivamente la grazia santificante
Il testo del "paradiso del '49" tende a confondere questi due ordini. Quando Chiara Lubich scrive che "ogni Paternità è da Maria" o che Maria "contiene tutto", sembra attribuirle una causalità diretta nella comunicazione della grazia, non solo un ruolo di intercessione e disposizione.
La Nota "Mater populi fidelis" insiste: "Nella perfetta immediatezza tra un essere umano e Dio, nella comunicazione della grazia, nemmeno Maria può intervenire. Né l'amicizia con Gesù Cristo né l'inabitazione trinitaria possono essere concepite come qualcosa che ci giunge attraverso Maria o i santi" (n. 54).
Il linguaggio dell'"unità" e il rischio di assorbimento pneumatologico
Maria e lo Spirito Santo
Nel testo del "paradiso del '49" del 20 luglio, Chiara descrive un'esperienza mistica in cui sembra identificare la propria anima (e quella dei membri del movimento dei focolari) con Maria, e Maria stessa con lo Spirito Santo:
"La Claritas è ciò che è se vivo la Parola [...] E nel Cuore Immacolato di Maria è lo Sposo: lo Spirito Santo che è la Claritas e cioè il Corpo mistico di Chiara."
Questa sovrapposizione di piani (Maria - Spirito Santo - corpo mistico di Chiara - claritas) crea una confusione pneumatologica e mariologica. La tradizione orientale, pur venerando Maria come Pneumatophoros (portatrice dello Spirito), mantiene sempre la distinzione tra la Persona divina dello Spirito Santo e la persona umana di Maria. Come ricorda la Nota "Mater populi fidelis" citando i Padri, "lo Spirito Santo operò in Maria affinché concepisse il Verbo, ma Maria non è lo Spirito Santo" (implicito in n. 15).
L'esperienza dell'"unità" come assorbimento
Molti passaggi del "paradiso del '49" descrivono l'esperienza mistica di "unità" in cui i confini tra le persone sembrano pericolosamente dissolversi:
"Quando due di noi, sapendoci nulla, facemmo che Gesù Eucarestia patteggiasse sulle due anime unità, avvertimmo d'esser Gesù. Sentimmo l'impossibilità di comunicare con Gesù nel tabernacolo."
Questo linguaggio dell'impossibilità di comunicare con Gesù sacramentato perché "si è diventati Gesù" è teologicamente problematico. La teologia cattolica della grazia, anche nella sua espressione più mistica (si pensi a Giovanni della Croce o Teresa d'Avila), mantiene sempre la distinzione tra l'anima e Dio, anche nell'unione trasformante. C'è trasformazione, non assorbimento. C'è unione, non identificazione. Le visioni della Lubich in questo senso sono decisamente molto problematiche.
"Per lo pseudo-mistico, Dio è soprattutto un oggetto del cui possesso egli gode. Avendo fatto di Dio un oggetto per la soddisfazione del suo desiderio, il falso mistico, per così dire, «lo divora». Il mistico autentico, invece, riconosce Dio come un altro libero e indipendente; non lo tratta come un oggetto presumibilmente capace di soddisfare il suo desiderio. Il falso mistico stabilisce con Dio una relazione di tipo fusionale. Egli tende a perdersi, dissolversi, eliminare il proprio io nella relazione con il divino. Il vero mistico, invece, preserva la sua condizione di essere separato e, a partire da ciò, stabilisce un vincolo amoroso con Dio, riconosciuto come alterità. […] Nella mistica cristiana, per quanto intima si possa pretendere che sia la relazione con Dio, si tratta ancora di un’unione, non di una fusione; l’ego umano non è assorbito dall’ego divino; l’ego personale non sparisce nell’oceano dell’Assoluto. L’unione mistica con Dio non significa una fusione con il tutto e il conseguente annullamento dell’io." (Torri de Araújo 2017 - “Discernimento tra mistica e psicosi”)
L'ecclesiologia carismatica e il rischio di elitarismo spirituale
Il "Corpo Mistico di Chiara"
Ricorrente nei testi del "paradiso del '49" è l'espressione "Corpo mistico di Chiara" come realtà distinta e al contempo identificata con il Corpo mistico di Cristo:
"Il Corpo mistico di Chiara che è il cuore del Corpo Mistico di Maria, Cuore del Corpo mistico di Gesù."
Questa struttura concentrica (Cristo - Maria - Chiara) configura un'ecclesiologia in cui il movimento dei focolari (o almeno il suo nucleo originario) si presenta come cuore della Chiesa, centro vitale da cui scaturisce la vita per tutto il corpo.
Dal punto di vista dell'ecclesiologia conciliare (Lumen Gentium), questo è problematico. La Lumen Gentium insegna che Maria è "tipo della Chiesa" (n. 63), non che esiste un "corpo mistico di Maria" distinto dal corpo mistico di Cristo. E certamente la Lumen Gentium non prevede un "corpo mistico di Chiara" come entità teologica.
La Nota "Mater populi fidelis", pur non affrontando direttamente questo punto, ricorda che "la maternità di Maria [...] si situa nell'ordine e nell'analogia della maternità" (n. 37a) e che "la funzione materna di Maria è indissolubilmente legata a quella di Cristo e orientata a Lui" (n. 37b). Non si può quindi configurare una mediazione mariana che a sua volta viene mediata da una fondatrice carismatica come Chiara Lubich.
I "clarificati" e la "claritas"
Il termine "claritas" ricorre ossessivamente nel testo del "paradiso del '49", indicando una particolare illuminazione o trasformazione riservata ai membri dell'unità:
"Siamo G.A. perchè esprimiamo Iddio. Siamo G.A. se siamo Parola Viva."
L'identificazione dei membri del movimento dei focolari con Gesù Abbandonato, con la Parola vivente, con la "claritas" divina, con Chiara Lubich rischia di configurare un'ecclesiologia elitaria in cui solo chi vive l'"ideale dell'unità" secondo la spiritualità dei Focolari può realizzare pienamente la vocazione cristiana.
La Lumen Gentium insegna la vocazione universale alla santità (cap. V) senza stabilire gerarchie carismatiche. La Nota "Mater populi fidelis" ricorda che "la vita della grazia include la nostra relazione con la Madre" (n. 72) ma non vincola questa relazione a una particolare spiritualità o movimento.
Questioni ermeneutiche e discernimento ecclesiale
Dal punto di vista della teologia dei carismi, emerge una questione cruciale: come discernere autenticamente i carismi senza soffocarli, ma anche senza lasciarli degenerare in derive dottrinali? La Lumen Gentium insegna che "il giudizio sulla loro genuinità e sul loro esercizio ordinato appartiene a coloro che presiedono nella Chiesa" (LG 12).
Nel caso del movimento dei focolari, sembra che il discernimento magisteriale, forse un po’ superficiale e affrettato, si sia concentrato più sulla prassi di comunione e sull'efficacia evangelizzatrice che sull'esame approfondito degli scritti mistici della fondatrice, nella fattispecie poi proprio questi inediti del “paradiso del ‘49” . La recente Nota vaticana "Mater populi fidelis" offre ora strumenti ermeneutici che rendono necessaria e urgente una rilettura critica di quei testi. Infatti applicando ai testi della Lubich i criteri della Nota vaticana, emergono innegabili criticità dottrinali che richiedono un lavoro di discernimento e, ove necessario, di correzione interpretativa. Questo non significa rinnegare la proposta spirituale dei focolarini, ma purificarla da incrostazioni teologicamente problematiche. Bergoglio ha parlato più volte della necessità di "purificare la memoria" della Chiesa. Questo vale anche per i carismi: riconoscere le ombre non nega la luce, ma la rende più credibile.
La Nota vaticana "Mater populi fidelis" opera di fatto una svolta dalla mariologia "massimalista" (che tende ad attribuire a Maria sempre più titoli e funzioni) a una mariologia "evangelica" (che ritorna alle sobrie affermazioni del Nuovo Testamento e dei primi concili). Il testo del "paradiso del '49" della Lubich si colloca chiaramente nell'alveo massimalista, con rischi evidenti di oscuramento cristologico. Il percorso indicato dalla Nota è invece quello di una mariologia cristocentrica, pneumatologica e ecclesiale, dove Maria è contemplata come "prima discepola", "prima credente", "icona della Chiesa", ma sempre in riferimento subordinato a Cristo.
Il caso degli scritti del "paradiso del '49" di Chiara Lubich rilancia l'antica questione del rapporto tra carisma e istituzione. Hans Urs von Balthasar, in 'Sponsa Verbi', parlava di una "tensione feconda" tra il principio petrino (istituzionale) e il principio mariano (carismatico) nella Chiesa. Ma questa tensione può essere feconda solo se il carisma accetta il discernimento dell'istituzione e se l'istituzione rispetta la profezia del carisma. Nel caso specifico, la Nota vaticana "Mater populi fidelis" offre al movimento dei focolari l'opportunità di rileggere criticamente gli scritti della fondatrice, purificarli da esagerazioni e eccessi devozionali e rilanciarli in una forma più conforme alla sobria fede della Chiesa. La sfida teologica per il movimento dei focolari è quindi riuscire a mantenere il fervore carismatico originario purificandolo da quegli elementi che la maturazione del discernimento ecclesiale ha riconosciuto come problematici.
Epilogo: un invito al coraggio della verità
La pubblicazione della Nota vaticana "Mater populi fidelis" è provvidenziale: offre ai focolarini l'occasione di un maturo confronto con il Magistero che sia più consapevole e più conforme alla fede della Chiesa. Intanto il primo passo sarebbe quello di pubblicare per intero e senza censure o un furbo "cherry picking" il testo del "paradiso del '49" in modo che anche studiosi non "focolarini", non gravati dal bias della devozione alla cara leader, possano farsi un'idea e proporre una seria analisi critica.
Come scriveva Karl Rahner, "il cristianesimo del futuro sarà mistico o non sarà". Ma la mistica autentica è sempre umile, sobria, e soprattutto cristocentrica, non quindi di certo “chiarocentrica”. L'eredità di Chiara Lubich potrà fiorire pienamente solo se accetterà di essere passata al vaglio di questo discernimento purificatore, sotratta all'agiografia compiacente e rassicurante del cerchio interno dei suoi adepti. In ogni caso i testi del "paradiso del '49" non possono diventare una "nuova rivelazione", un "quinto vangelo", una fonte dottrinale alternativa o complementare alla Scrittura e alla Tradizione così come vorrebbero i focolarini. Non ci credete?
Jesus Morán sacerdote e co-presidente in carica dei focolarini (fino allo scadere del suo secondo mandato inizio 2026) si è infatti così incautamente espresso in una intervista:
"Bisogna dire che Chiara ha sempre pensato, e così ce lo ha trasmesso, che questa esperienza mistica (del "paradiso del '49" - n.d.r.) è costitutiva della mentalità di qualsiasi persona che voglia essere fermento di unità oggi nella Chiesa e nella società – ossia di chi fa proprio il carisma del movimento. Quindi non è un’esperienza mistica di Chiara privata, particolare, ma è proprio costitutiva – quindi dobbiamo approfondirla…"
Interessante notare che Morán contraddice praticamente il magistero della chiesa che afferma esattamente il contrario. Ossia trattasi piuttosto di rivelazioni private e non aggiungono nulla in più alla Rivelazione che basta e avanza.
La Chiesa con questa nota dottrinale "Mater populi fidelis" invita tutti i movimenti carismatici – a un esercizio di umiltà intellettuale e spirituale: riconoscere che anche i carismi possono produrre formulazioni imperfette, che anche le esperienze più profonde possono essere male interpretate, che anche i fondatori più santi rimangono creature bisognose di redenzione. Persino Chiara Lubich.
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Photo by Alem Sánchez
Photo by Carlo Pelagalli
* Dinanzi alla volontà di Chiara di distruggerli, Igino Giordani, primo focolarino sposato e cofondatore li occultò trascrivendoli sotto il falso nome della mistica Giuliana da Norwich del XV sec.. Ne realizzò un microfilm che venne conservato in una cassetta di sicurezza in una banca di Firenze. Con l’alluvione del 4 novembre 1966 (interessante coincidenza di date con la pubblicazione della nota), la banca è inondata e le pellicole restano a mollo per diversi giorni. Quando Fede (Giorgio Marchetti) recupera la cassetta di sicurezza, l’emulsione si sta staccando del supporto di cellulosa: si rischia di perdere tutto. È grazie all’intervento di Thomas Klann, che aveva un solido bagaglio di fotografo, se quelle pellicole si sono salvate; raccontò di aver usato della formalina per consolidare i supporti.
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