La profezia

“L’altruismo è la maschera dorata dell’egoismo e del narcisismo, nient’altro che un'anomala gratificazione.” Lorenzo Licalzi

Il terrore del vuoto "ad uso interno"

Linguaggio intortato


"Ogni volta che le idee falliscono,
gli uomini inventano le parole."
Martin H. Fischer



by F.M.


Ogni nuovo gruppo sociale sviluppa il suo proprio linguaggio con il quale cerca di esprimere le sue idee ed esperienze. Solo col tempo riesce a trovare quel giusto equilibrio che conserva e definisce la novità e poi essere capace di comunicarla al di fuori del gruppo stesso. Anche Chiara Lubich e la novità di cui era portatrice hanno contribuito alla nascita di un nuovo linguaggio. In questo caso però, col tempo é diventato molto difficile comunicare con chi non condivide l'esperienza e la fenomenologia focolarina. 


Le parole di Chiara si sono tramutate in una sorta di metalinguaggio, un misto di italiano e dialetto trentino, con abuso di superlativi e abbreviazioni, a volte espressioni senza senso compiuto e condito di "doppi legami" (vedi post su questo tema). La mia esperienza - ho tradotto la produzione focolarina in varie lingue negli anni - é stata quella di avere a che fare con un linguaggio che prova a dire tutto ma rischia di non dire niente, un linguaggio decisamente intortato e sovente poco comprensibile a tre centimetri fuori dai focolari, quindi difficilissimo da tradurre efficacemente. Un esempio chiarissimo ed eclatante di questo linguaggio intortato é la preghiera del "patto" che ogni interno del movimento dei focolari deve ripetere ogni giorno dopo aver ricevuto l'eucarestia:


"Gesù chei vivi nella santissima eucaristia, noi singolarmente e tutti insieme ti promettiamo anzitutto di essere fra noi la realizzazione del tuo comandamento nuovo,  di amarci cioè come tu ci hai amato: fino all'abbandono del padre. Affinché poi si realizzi il tuo disegno su tutta l'opera ti chiediamo di patteggiare tu stesso unità sul nulla d'amore dei nostri singoli cuori, fondendoci così in uno con la tua carità. Fatti in questa maniera un'anima sola, consacra tu quest'anima alla vergine tua madre perché in qualche modo ella possa spiritualmente essere presente in essa. E donaci così per il continuo amore reciproco, per il quotidiano nutrimento di te, per la nostra totale donazione a Maria, la grazia che tu stesso nasca e rinasca fra noi e in noi in modo che non più noi lavoriamo alla tua opera ma tu in noi. Amen."


Rinuncio a farne un'esegesi perché mi sembrerebbe di sparare sulla croce rossa e credo comunque sia lapalissiano che una tale sequela di pensieri contorti smascherino in prima istanza la fragilità della Lubich che ha coniato questo modo di esprimersi così surreale. Sfido chiunque non parli "focolarino" a spiegarmi il senso compiuto di questa preghiera. È inoltre un manifesto ingombrante di autoreferenzialità narcisista perché in definitiva la Lubich prega che la sua opera prosperi: non nomina infatti nemmeno una volta la parola "chiesa" e già questo avrebbe dovuto far suonare tutti gli allarmi possibili oltre Tevere.


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In teologia si insegna che tutto è stato creato per mezzo della Parola, tutto quello che esiste quindi è Parola. Il linguaggio crea, e ha un legame strettamente ontologico con la realtà. Ma le parole che usiamo tutti i giorni, le parole che ci aiutano ad esprimerci e comunicare con gli altri, hanno sempre e comunque questa caratteristica? Sono parole sempre creatrici? No, se non nascono dalla vita. La parole che quindi scegliamo e usiamo per comunicare ed esprimerci devono essere “nostre”, devono nascere in noi, essere appunto la nostra espressione, devono contenere tutto di noi. Pena altrimenti la vacuità.

Nel movimento dei focolari purtroppo, la ripetizione pedissequa di formule, frasi fatte, slogan, ha come prima necessità quella di riempire un vuoto. E ci si esprime così quando non si hanno altri contenuti da offrire. Si attinge alla fonte di Chiara, in modo da essere sicuri che quanto si dice, venga accettato come fosse da lei stessa. Ma questo modo di fare, conscio o meno che sia, ha vita breve. Parole che non sono sorrette da una vita adeguata, da cui normalmente sarebbero dovute sorgere, e non viceversa, risultano tristemente vacue, non convincono, non trascinano, non testimoniano e deludono. 

Chiara Lubich ha coniato una miriadi di modi di dire, mutuati a volte dal suo dialetto trentino, oppure inventati di sana pianta. Era un modo tutto suo di farsi capire alla svelta. Aveva fretta. Il suo errore consiste nel aver plasmato un metalinguaggio che ben presto è divenuto intellegibile ai soli iniziati del movimento. Questo é successo nel preciso istante in cui si è presa la decisione di criptare e blindare la comunicazione del movimento dei focolari con la famosa dicitura "ad uso interno". Espressione che rivela una deriva spiccatamente manichea tipica del movimento, probabilmente un riflesso delle nevrosi della Lubich. Dentro e fuori, noi e loro, buoni e cattivi, noi tutti santi, la fuori il mondo che ci divora, ecc…

Si dovrebbe umilmente ammettere che con gli anni il movimento si è chiuso, ristretto, diventando un club esclusivo. Ma proprio per la sua natura intrinseca, vedi Art. 6 degli Statuti Generali e Art.4 del Regolamento della Sezione dei focolarini, il focolare non dovrebbe prevedere un “noi” e un voi”, un “dentro” e un “fuori”, un “uso interno” e un uso “esterno”. Il focolare non é una convivenza di monaci ritirati dal mondo in conventi o clausure. I focolarini dovrebbero essere nel mondo e per il mondo. Qual è quindi l'utilità di questo linguaggio interno? Permette di risparmiare tempo e spiegarsi senza troppe parole? Tutto qua? Ma se poi esclude e sono più gli svantaggi dei vantaggi? Insomma a che pro?

In questa maniera il sogno dell'unità, di arrivare a tutti, di unire tutti, di comunicare con tutti si è infranto causa proprio una sorta di dialetto fatto di slogan, abbreviazioni riduttive e imbarazzanti, tipo GA, GIM, ecc... che hanno banalizzato concetti teologici già di per sé delicati e al limite dell'ortodossia. Il problema poi è diventato cronico e endemico nel momento che questo linguaggio si è infiltrato in ogni realtà del movimento ed è divenuto corredo di ogni focolarino e ancor più delle focolarine, che volevano imitare Chiara, essere come lei, parlare come lei. 

Mi ricordo dell’elogio funebre di una delle prime compagne di Chiara Lubich, Aletta: “...Aletta, con la sua stessa persona, diceva vita, salute, malattia, morte e risurrezione, salvaguardia del creato, casa della famiglia umana unita dal vincolo della pace.” È un nonsenso, un patchwork di concetti un po' confusi. È un esempio fra tanti, ma caratterizza bene questo modo di parlare e di porsi che talvolta si riscontra tra i focolarini. Perché, senza ora tirare in ballo le scienze linguistiche, le parole che scegliamo e usiamo condizionano chi siamo, come viviamo e come ci rapportiamo.

Ecco perché tanta insistenza sul linguaggio, sulla vacuità delle formule, degli slogan, dei modi di dire che non sono altro che un sintomo di un disagio grave e più profondo: apparentemente dietro questa solerzia di custodire la tradizione, ripetendo pedissequamente formule e contenuti, il rischio è che non ci sia nulla, ma solo un vuoto spirituale assordante. Manca cioè la mistica, la vita, che di per sé sarebbe sempre qualcosa di nuovo per definizione. Athenagoras I (patriarca di Constantinopoli sino al 1972) a questo proposito ammoniva:

"Senza lo Spirito Santo Dio è lontano, Cristo rimane nel passato, il Vangelo è lettera morta, la Chiesa è una semplice organizzazione, l'autorità è una dominazione, la missione una propaganda, il culto un'evocazione, e l'agire dell'essere umano una morale da schiavi."

F
inché Chiara era viva e attiva si é potuto brillare della sua originalità. Poi invece è subentrato il buio, l’aridità, peggio ancora la routine e una strisciante ipocrisia. Trovo, a questo proposito queste parole di Pasternak molto illuminanti e potrebbero far riflettere i focolarini:

“Alla gran maggioranza di noi si richiede un'ipocrisia costante, eretta a sistema. Ma non si può, senza conseguenze, mostrarsi ogni giorno diversi da quello che ci si sente: sacrificarsi per ciò che non si ama, rallegrarci di ciò che ci rende infelici. Il sistema nervoso non è un vuoto suono, o un'invenzione. È un corpo fisico, formato di tessuti. La nostra anima occupa un corpo nello spazio e sta dentro di noi come i denti nella bocca. Non si può impunemente violentarla all'infinito.”

Questo spiegherebbe il perché di tanto disagio tra le fila dei consacrati, (che ho vissuto in prima persona) l'alta percentuale di defezioni e talvolta l'ammalarsi seriamente sino ai casi noti di suicidio. Ed ecco che il carisma della Lubich che lei stessa chiamava “l’Ideale”, svuotato e ridotto a mera ripetizione di slogans, ben presto si è trasformato in un’ideologia. Un’ideologia infatti nasce e si sviluppa sempre in un contesto di estrema povertà, in questo caso umana e spirituale.

Durante il mio soggiorno in un paese ex sovietico, mi erano stati affidati i giovani della comunità. Una volta volevo leggere loro il testo di un aggiornamento sulla vita del movimento di quel periodo. Non sono riuscito ad andare oltre le prime righe. Hanno cominciato a ridacchiare. Ho interrotto la lettura e ho chiesto lumi. Mi hanno spiegato che, tolta l'intestazione, il “carissimi” e le prime battute iniziali, per il resto il testo dell'aggiornamento era molto simile ai bollettini di sovietica memoria che narravano le gesta del partitoÈ solo un aneddoto, ma dice bene cosa significhi usare un linguaggio che scada nell'ideologia.

Tipico del linguaggio focolarino é, ad esempio, il reiterato abuso del "tutti" omnicomprensivo: "tutti" assolutamente contenti, tutto bello, solo notizie positive, nemmeno l'ombra di un dissenso. Eli Folonari, la segretaria storica della Lubich, in questo era una specialista e ha fatto scuola, perché ancora oggi nelle comunicazioni ufficiali del movimento dei focolari ci si imbatte talvolta in questo fantomatico "tutti". È un modo di esprimersi che non veicola più la vita ma solo delle formule vuote. La riprova di questo sta nel fatto che i focolarini non sono in grado di andare in una qualsiasi parrocchia “X” per parlare del focolare. Senza un apprendistato di anni nelle fila e nelle strutture del movimento, è molto difficile, per chi non lo conoscesse dal di dentro, decifrare cosa siano e cosa facciano. Come mai?

Il movimento dei focolari è diventato troppo “autoreferenziale”, impermeabile cioè a quanto viene dall'esterno. L'autoreferenzialità rischia di essere un brutto cancro, che ben presto va in metastasi e nel caso del movimento rischia di diventare la sua nemesi. Concludo con un esempio recentissimo che spiega bene questa autoreferenzialità enfatizzata dai problemi del metalinguaggio focolarino. Presso l’università del movimento che si trova in toscana a Loppiano, uno dei corsi proposti per quest’anno accademico si intitola “Cultura dell'Unità”. Tra gli “obiettivi e benefici” promessi a chi frequentasse queste lezioni spicca questo: capacità di leggere i “segni dei tempi”.

Arti divinatorie

La prima volta che l’ho letto ho pensato ad uno scherzo. Soprattutto scorrendo la lista dei docenti, tra i quali ce ne sono alcuni che, immagino, proverebbero un certo imbarazzo ad essere associati a questo tipo di arti divinatorie e chiaroveggenza. Provo ad immaginarmi l'esame di uno studente di questo corso che deve dimostrare di aver imparato a saper leggere i segni dei tempi.

I focolarini sottovalutano ancora troppo, quanto questo tipo di autoreferenzialità e metalinguaggio siano dannosi e permettano svarioni di questo tipo. E questo perché fanno fatica ad accettare un contraddittorio. Si diventa col tempo intolleranti verso tutto quanto non continua a rinforzare la narrazione che ci si è costruiti col vano tentativo di proteggersi e si ha paura delle domande forse perché non si hanno risposte. That's all folks!


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Commenti

  1. Turtles vorrei segnalarvi che il corso "Cultura dell'unità" che prometteva tra i benefici di imparare a leggere i segni dei tempi (oltre alla preziosissima "visione d'insieme") non si terrà, il corso non sarà attivato! È colpa vostra!!! Come faremo adesso ad imparare a leggere i segni dei tempi? Ciao, Paolo (Padova)

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    1. Basta dire sempre - Dio lo vuole- come lo dicevano sempre a mè. Poi un giorno mi sono stufato ed ho risposto che se Dio voleva dirmi qualche cosa, roveti nella mia città non ce ne sono più, se desidera però ci sono un sacco di siepi, mi raccomando non ardenti oggi arriverebbero subito i pompieri. Qualora voglia qualche cosa di più moderno, tutte le ditte pubblicitarie hanno a quanto pare il mio n°di cell.Basta che quel focolarino la smetta di far sempre da tramite fra Dio e mè. Non sono ne sordo ne scemo grazie

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    2. Carissimo Paolo da Padova, grazie per la segnalazione. Interessante davvero e sarebbe clamoroso se davvero avessero cancellato questo fantasmagorico corso solo grazie alla nostra segnalazione. Allora iniziamo a segnalare anche altre cosette che no tornano, chissà davvero che non ci rendiamo untili ad un minimo di cambiamento.

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