Igino Giordani - una rilettura dei “primi tempi” focolarini - 04

“Non troverai mai la verità, se non sei disposto ad accettare anche ciò che non ti aspettavi di trovare.” Eraclito

Quanto ci secca avere ragione!

Limite invalicabile

"Chi invece scandalizza
anche uno solo di questi piccoli
che credono in me, sarebbe meglio per lui
che gli fosse appesa al collo
una macina girata da asino,
e fosse gettato negli abissi del mare."
Matteo 18,6-10

By F. M.

Da ragazzo scrissi per scherzo una canzone dal titolo "Quanto mi secca avere ragione!". I miei amici più stretti la conoscono e di tanto in tanto, quando l'occasione è propizia la riaccenno, giusto per rimarcare un concetto o trionfare dopo una proficua discussione. È successo di nuovo qualche giorno fa dopo che in redazione abbiamo letto un bell'articolo della Civiltà Cattolica (vedi link) dal titolo emblematico "Abusi in nome di Dio?"*

Ci secca dirlo ma abbiamo ragione; permetteteci di estrapolare dall'articolo alcuni passaggi salienti che rinforzano e confermano quanto abbiamo scritto sul blog in questi anni. Ognuna di queste frasi sarebbe un tema a sé. Per ognuna di queste frasi si potrebbe scrivere un commento e fornire tanti esempi della prassi focolarina rimarcando gli errori di Chiara Lubich o di chi l’ha mal consigliata. 

Amici focolarini vi invitiamo a leggere l'articolo per intero con la sua ricca dotazione di note e riferimenti. Rifletteteci, giungete alle vostre conseguenze e fatevi un bell'esame di coscienza. 

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  • Il fatto che si parli di abuso di autorità, di potere o di coscienza da parte di esponenti della Chiesa nei confronti di altre persone oggi non è più un tabù e anzi è diventato un dovere. 

  • Alla radice di tali abusi c’è l’inadeguata gestione del potere, spesso aggravata dalla manipolazione della coscienza. 

  • A poco a poco nella Chiesa – analogamente a quanto accade nel mondo – abbiamo imparato a sedurre, a distorcere i fatti e a manipolare l’attenzione e le emozioni del ricevente, utilizzando la disinformazione al servizio dell’emittente e screditando la vittima affinché la sua eventuale reazione non venga apprezzata da nessuno.

  • Il maltrattamento delle persone – laici o consacrati – da parte di coloro che detengono il potere all’interno della Chiesa ha distrutto troppe vite. 

  • Cresce la consapevolezza che non si tratta di casi isolati, ma piuttosto di un problema strutturale e sistemico che è rimasto a lungo inavvertito solo grazie al ricatto emotivo, all’occultamento, alla paura e al silenzio delle vittime. 

  • Siamo di fronte a un grave problema nell’esercizio dell’autorità, radicato nel clericalismo, che è presente nelle stesse istituzioni ecclesiastiche. Ciò che sconvolge di più è che tutto questo viene perpetrato da persone a cui la Chiesa ha affidato l’ufficio sacerdotale e la guida di comunità religiose. 

  • Per raggiungere i loro scopi, gli autori degli abusi si avvalgono della fiducia riposta in loro dalla Chiesa e dalle vittime stesse, e sono favoriti dall’occultamento e dal silenzio complice. 

  • Nell'abuso – sia esso di autorità, di potere o sessuale – tutti coloro che vedono e rimangono in silenzio sono complici per omissione. Quel silenzio, a causa delle sue conseguenze, è spesso più grave dell’abuso stesso

  • L’atto di lavarsene le mani non è mai neutrale, ma significa piuttosto schierarsi dalla parte di chi abusa.

  • L'abuso di potere è la capacità di qualcuno di provocare, attraverso la coercizione e la violenza, grazie alla posizione che occupa, un condizionamento della libertà altrui, portando chi lo subisce a decisioni contrarie alla propria volontà. L’abuso di potere è alla base di tutti gli abusi.

  • L’abuso di potere si manifesta anche nel tentativo, da parte dell'abusatore, di imporre chiavi interpretative, mostrando che è lui a dare una lettura corretta della realtà. Pertanto, egli costruisce narrazioni in base a ciò che vuole imporre, manipolando per ottenere i propri fini e, se necessario, umiliando e denigrando. Inoltre, egli si basa sulla posizione che occupa, sulle «informazioni» di cui dispone e sul richiamo alla propria vicinanza al potere che gli è gerarchicamente superiore.

  • Esiste sempre il pericolo di un culto della personalità nei confronti di chi detiene il potere. 

  • Al culto della personalità voluto da chi ambisce e ricerca il potere si accompagna la conseguente spersonalizzazione dei propri «adoratori». 

  • Il culto della personalità ha come inevitabile corollario il culto dell’impersonalità e l’annullamento nefasto di chi si presta a tale idolatria. In queste situazioni – particolarmente gravi nel mondo religioso –, giochi di potere, tirannia e sottomissione si uniscono all’irrazionalità causata dalla paura, dalla codardia e dalla menzogna.

  • L’abuso del servizio dell’autorità comincia con la sua centralizzazione verticale, che fornisce giustificazione alla coscienza di chi la esercita e non tiene conto del fatto che la corresponsabilità nell’esercizio dell’autorità libera l’autonomia. 

  • Un superiore o una superiora che prendono una decisione sulla vita di una persona consacrata a Dio senza ascoltarla e senza considerarne il punto di vista stanno usurpando un posto che non è il loro. In altre parole, chi non è preparato e disponibile a un dialogo che conduca alla pacificazione della coscienza dell’altro, si rivela una persona incapace di portare a termine la missione che ha ricevuto.

  • Nessuna autorità – nemmeno un fondatore – può ritenersi unica interprete del carisma, né può collocarsi al di sopra della legge universale della Chiesa. Chi esercita l’autorità deve essere attento a non cedere alla tentazione dell’autosufficienza, cioè alla convinzione che tutto dipenda da lui. 

  • Un’autorità autoreferenziale non ha nulla in comune con la logica del Vangelo.

  • Negli Istituti di vita consacrata occorre prestare molta attenzione all’autoritarismo. Proprio per ragioni di giustizia e trasparenza, si deve indagare sul rapporto tra abusi di autorità, di potere e sessuali e casi di abbandono e di suicidio nella vita consacrata. Bisogna passare, nella maniera più netta, dalla centralità del ruolo dell’autorità alla centralità della dinamica della fraternità.

  • L'abuso di coscienza: la sua gravità e la sua diffusione nella Chiesa non sono ancora riconosciute. 

  • L'abuso di coscienza è un attentato alla dignità umana, e chi lo subisce va incontro a gravi conseguenze spirituali e psicologiche, perché spesso si entra nel campo dell’esperienza religiosa, che è molto più sottile, ma anche molto più perverso. 

  • La coscienza è la sede della libertà di giudizio e il luogo dell’incontro a tu per tu con Dio; di conseguenza, l’abuso di coscienza mina tale libertà e tale incontro, corrompendo due elementi fondamentali dell’antropologia cristiana: la libertà, che caratterizza l’essere umano, e il suo legame con Dio, suo fine ultimo. 

  • L’abuso di coscienza poggia su un’antropologia pessimistica che non valorizza la dignità e la soggettività umana. Al centro di una tale antropologia non c’è l’immagine di Dio nell’essere umano, bensì la corruzione che deriva dal peccato. Se la natura umana è corrotta, non ci si può fidare della coscienza o della ragione, ma soltanto dell’«illuminato» che, per grazia soprannaturale, conosce e trasmette la volontà di Dio.

  • Le vittime di abuso di coscienza non hanno colpa per essersi fidate. La fiducia, infatti, non è una debolezza, ma una condizione per seguire Gesù Cristo. 

  • Occorre definire il reato di abuso di coscienza, che è quella tipologia di abuso di potere – giuridico o spirituale – che indebolisce o annulla la libertà di giudizio e impedisce al credente di restare da solo con Dio. 

  • Quando il discernimento del superiore viene assolutizzato, vengono relativizzati il discernimento e la ragione degli altri; il potere del superiore resta sbilanciato, e quindi tende a essere esercitato in modo arbitrario, senza sottomettersi alla razionalità. Quando il potere è soggetto a un criterio, l’arbitrarietà non può regnare. L’assolutizzazione dell’obbedienza a un superiore è spesso accompagnata, paradossalmente, dalla disobbedienza al resto della Chiesa. 

  • Quando si assolutizza l’ispirazione del superiore, la conseguenza è che la ragione viene relativizzata o squalificata, perché la ragione mostra che le cose non sono lineari. 

  • Chi abusa preferisce che regni un pensiero semplice e unico, cioè il proprio: è vietato il dissenso.

  • La radicalità evangelica viene allora presentata come qualcosa che supera la ragione e, per conseguenza, l’interferenza razionale appare come un segno di mediocrità, sinonimo di mancanza di generosità. Si cerca di trasmettere l’idea che concedere spazio alla razionalità significa scendere a patti con il mondo. 

  • Questa esaltazione della «follia» evangelica elogia l’irrazionale, deplora lo spirito critico e promuove l’arbitrarietà. Tutto ciò favorisce il superiore che abusa, che non tollera di essere messo in discussione. 

  • È essenziale eliminare la sensazione che determinati comportamenti abusivi non abbiano conseguenze e restino impuniti. Chi abusa del potere e coloro che vi partecipano con l’azione o l’omissione lasciano una scia, un’«impronta di peccato» che rovina e distrugge irrimediabilmente tante vite innocenti.

  • All’abusatore piace avere «collaboratori» che lo accompagnino. Pertanto capita spesso che, malgrado la regola della limitazione temporale degli incarichi, si diventi superiori a vita. La tendenza a mantenere sempre le stesse persone per lunghi anni in posti di autorità comporta rischi per chi li ricopre: in particolare, quello di identificarsi nel ruolo, al quale si aggiunge il pericolo di confondere la propria volontà con quella di Dio, imponendola in modo rigido agli altri. 

  • Per chi obbedisce c’è il rischio di confondere la ricerca della volontà di Dio con il benestare dell’autorità. Così, in nome dell’«unità», ogni pensiero che non si limiti a riecheggiare la voce di chi governa viene emarginato, se non eliminato. 

  • Gli abusi di coscienza sono, in larga misura, una conseguenza dell’abuso del nome di Dio, strumentalizzato per giustificare le proprie azioni.

  • È il momento di valorizzare chi ha il coraggio di dire «no» all’abuso, chi pone limiti a ciò che è inappropriato e non evangelico e osa denunciare comportamenti abusivi. 

  • Nell’ambito religioso, la dignità umana può essere facilmente deformata, perché la disponibilità, l’abnegazione e lo spirito di servizio rischiano di essere male interpretati, e ciò porta a un annullamento malsano, menzognero, irresponsabile e vile, che non ha nulla in comune con il Vangelo. 

  • La grande differenza tra «servizio» e «servilismo» passa attraverso la riconquista della libertà, il coraggio di respingere proposte incompatibili con la dignità dell’essere umano e il Vangelo.

  • Quando l’esercizio del potere non è evangelico, occorre riconoscere che ciò che veramente si nasconde dietro l’abuso è una crisi di spiritualità, in quanto esso si basa su ciò che c’è di più problematico nei rapporti umani: il desiderio di dominare e di imporsi sugli altri. 

  • Difficilmente gli abusi di potere verranno completamente sradicati dalla Chiesa, che è costituita anche da persone che in essa trovano un «ombrello» molto ampio per i propri abusi. Esse riescono perfino, sotto la copertura di «spiritualità, gentilezza e amore», a manipolare e a soffocare la Chiesa.
     
  • Tutto ciò che rafforza l’immaginario del superiore mettendolo al di sopra degli altri, presumibilmente con doni spirituali che il suo incarico non gli concede, lo pone potenzialmente in una situazione favorevole all’abuso di potere e di coscienza. 

  • Sarebbe necessario ripensare anche la teologia del voto di obbedienza e le sue pratiche, affinché il discernimento e la responsabilità di ciascuno nella propria vocazione non restino delegati a terzi.

  • Quando, come comunità ecclesiale o come struttura gerarchica, non siamo in grado di prenderci cura di ogni essere umano e di vigilare sulla sua integrità riconoscendo la sacra bellezza della sua ricerca, delle sue debolezze, dei suoi desideri e dei suoi bisogni, stiamo davvero fallendo come Chiesa.

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*Quaderno 4164 | pag. 587 - 599 | Anno 2023 | Volume IV | SJ José Manuel Martins Lopes, preside della Facoltà di Filosofia e Scienze sociali dell’Universidade Católica Portuguesa.

Commenti

  1. Pensate che dopo 2000 anni stiamo ancora condannando pilato perché se ne è lavato le mani

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