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Leone XIV e l'Unità: In Illo uno unum

 Lion

“Dio è nei dettagli!”
Flaubert

By F.M.


In questi tempi di Conclave mi sono ricordato che ai tempi di Wojtyla tra i più internissimi e intimi delle cose segrete di Chiara Lubich girava una voce che ho sentito riportare da almeno tre persone diverse, quindi un minimo di fondamento doveva avercela. Si sussurrava, implorando di tenerlo segreto, che il papa polacco riservasse la nomina di un cardinale "in pectore" e che questa sarebbe stata Chiara Lubich. Ero un ragazzino imberbe, la cosa mi sembrò quantomeno bizzarra, ma non mi feci poi tante domande; avevo visto la predilezione di Giovanni Paolo II per la Lubich. Poi negli anni, crescendo ho potuto avvalermi di più elementi per decifrare il "fenomeno" Chiara Lubich e prendere le misure del culto della sua personalità che sfocia talvolta in queste esagerazioni folkloristiche. Chiara è stata venerata e trattata come la vicaria della Madonna in terra (per non dire di più) ed era credenza comune tra i focolarini che fosse capace di generare da sola la presenza di Gesù, secondo la promessa evangelica del "dove due o più". Per cui si era "uno" in Chiara.


Il nuovo pontefice appena eletto, Leone XIV ha scelto come suo motto una frase di Sant'Agostino presa da un commento al salmo 127 : "In Illo uno unum". "Nell'unico Cristo siamo uno". Immagino che i focolarini abbiano stappato lo champagne ritenendo questa scelta un segno divino che li confermerebbe nella linea dell'Unità così come la voleva Chiara Lubich. Ma è proprio così? Siamo sicuri che quello che intende Leone XIV sull'unità sia lo stesso che credono i focolarini? Proviamo a fare un po' di "chiarezza". Come vedremo ci sono delle differenze sostanziali che andrebbero affrontate per arrivare ad una riflessione più adulta e seria sul pensiero di Chiara Lubich.

In Illo uno unum

Il motto scelto da Papa Leone XIV, "In Illo uno unum" ("Nell'unico Cristo siamo uno"), proviene dall'Esposizione sul Salmo 127 di Sant'Agostino. In questo commento, Agostino sottolinea che, pur essendo molti, i cristiani sono uniti in un solo corpo nell'unico Cristo. La frase completa è: "Non ille unus et nos multi, sed et nos multi in illo uno unum." Questa espressione evidenzia l'unità della Chiesa in Cristo, tema centrale nella spiritualità agostiniana e nel pontificato di Leone XIV. Il motto riflette l'impegno del Papa a promuovere la comunione e l'unità nella Chiesa, in linea con il carisma dell'Ordine di Sant'Agostino. 

Il commento di Sant'Agostino al Salmo 127

Nel suo commento, Agostino osserva che, sebbene il salmo inizi al plurale ("Beati tutti coloro che temono il Signore"), prosegue immediatamente al singolare ("Mangerai i lavori dei tuoi frutti"). Questa transizione non è casuale, ma sottolinea l'unità dei molti fedeli in un solo corpo: "Parlando a dei cristiani, sebbene siano molti, nell'unico Cristo io li considero una sola unità." Questa riflessione si traduce nella frase: "Non ille unus et nos multi, sed et nos multi in illo uno unum." ("Non egli uno e noi molti, ma anche noi molti in lui che è uno.") Agostino enfatizza così che i cristiani, pur essendo numerosi, formano un'unica realtà in Cristo, il quale è il capo del corpo che è la Chiesa.

Il significato del motto papale

Il motto "In Illo uno unum" ("In Colui che è Uno, siamo uno") riflette l'ideale di una Chiesa unita nella diversità, fondata sulla comunione con Cristo. Esso richiama l'insegnamento agostiniano secondo cui l'unità della Chiesa non è semplicemente organizzativa, ma ontologica e spirituale: i fedeli sono membra di un solo corpo, vivificato da un unico Spirito. Questo motto esprime l'impegno di Papa Leone XIV a promuovere la comunione e l'unità nella Chiesa, in linea con il carisma dell'Ordine di Sant'Agostino, al quale appartiene.

"Ut omnes unum sint"

Il motto "In Illo uno unum" di Papa Leone XIV e il versetto evangelico "Ut omnes unum sint" (Gv 17,21), cuore della proposta spirituale di Chiara Lubich, condividono una comune radice teologica: l’unità ecclesiale come riflesso dell’unità trinitaria. Tuttavia, ciascuna espressione mette in luce un aspetto diverso di questa unità.

Origine e prospettiva

  • "Ut omnes unum sint" ("perché tutti siano una cosa sola") è tratto dalla preghiera sacerdotale di Gesù nel Vangelo secondo Giovanni. È una invocazione: Gesù prega il Padre affinché i suoi discepoli siano uniti come Lui è nel Padre e il Padre in Lui.

    • Senso escatologico e missionario: l’unità è dono e segno credibile per il mondo (“perché il mondo creda”).

  • "In Illo uno unum" ("in Colui che è uno, siamo uno") deriva invece da Sant’Agostino, che commenta il Salmo 127.

    • Senso ontologico ed ecclesiale: l’unità dei fedeli è già realtà, perché radicata misticamente nel Cristo. Noi, pur essendo molti, siamo già uno nell’unico.

L’unità come dono vs. realtà presente

  • Giovanni 17: unità come preghiera e aspirazione, che coinvolge la libertà dell’uomo e l’azione della grazia.

  • Agostino: unità come realtà spirituale già presente in Cristo e nella Chiesa, che va riconosciuta e vissuta.

Teologia della Chiesa

  • In Giovanni, si evidenzia la Chiesa in cammino verso la piena comunione, spesso interpretato in chiave ecumenica: un richiamo all’unità tra le confessioni cristiane.

  • In Agostino, si delinea una visione mistica e corporale della Chiesa: Cristo è il Capo, noi siamo il corpo, già uniti in Lui per la grazia battesimale.

In sintesi:

Aspetto

"Ut omnes unum sint" (Gv 17,21)

"In Illo uno unum"

Origine

Gesù nel Vangelo

Sant’Agostino, commento al salmo

Tipo di unità

Desiderata e futura

Presente e spirituale

Prospettiva

Escatologica e missionaria

Ontologica e mistica

Teologia

Ecumenismo, preghiera per l’unità

Chiesa come corpo di Cristo già unito

L'unità in Chiara Lubich

Il confronto tra l’unità come realtà ontologica (Agostino), l’unità come dono e fine (Giovanni 17), e l’unità intesa da Chiara Lubich, come atto volontario e performativo, mette in luce tre diverse prospettive teologiche e spirituali sulla comunione ecclesiale.

Confronto teologico: Agostino – Giovanni – Chiara Lubich

Aspetto

Sant’Agostino

Gesù (Gv 17,21)

Chiara Lubich

Origine dell’unità

In Cristo, già avvenuta per grazia

Dono del Padre da invocare

Si tratta di una concessione di Dio, che le ha permesso di farsi Uno con lui entrando nella Trinità; gli altri invece scelgono di farsi uno se si annullano in lei.

Tipo di unità

Mistica e ontologica: siamo uno in Lui

Escatologica e testimoniale: diventeremo uno

Pratica e relazionale: facciamo unità

Ruolo umano

Ricezione e riconoscimento di ciò che già si è in Cristo

Collaborazione alla grazia mediante la preghiera e la fede

Annullarsi per far vivere Cristo al proprio posto.

Teologia ecclesiale

La Chiesa è corpo mistico già uno nel Capo

La Chiesa è chiamata a diventare segno di unità per il mondo

La Chiesa è popolo che si costruisce attraverso l’amore reciproco. (Cristo regna in “solitudine”, se di fatto tutti i fedeli sono diventati Lui.)

Verbo chiave

Essere uno”

Diventare uno”

Fare unità”


Chiara Lubich e l’unità come azione

Per Chiara Lubich, l’unità non è solo una condizione spirituale data, ma una realtà dinamica e fragile che va costantemente fatta e costruita. Nella spiritualità dell’unità:

  • L’unità si realizza vivendo il Vangelo, soprattutto l’amore reciproco (“che tutti siano uno…”).

  • È frutto di una scelta personale e comunitaria: ogni atto di carità è un “mattone” nella costruzione dell’unità.

  • L’unità è fragile: può essere perduta o compromessa, per questo va “rifatta” ogni giorno.

Analisi comparata

  • Agostino dà la sicurezza dell’appartenenza: siamo già uno in Cristo.

  • Giovanni apre all’attesa e alla tensione escatologica: diventeremo uno affinché il mondo creda.

  • Chiara Lubich inserisce un aspetto meccanico: facciamo unità. Ma il "fare unità" non riguarda lei allo stesso modo degli altri, perché la Grazia divina l’ha resa la medium tra Dio e gli uomini, è lei la garante dell’unità.

La posizione della Lubich rischia per alcuni versi di essere pelagiana. La visione lubichiana dell’unità come “qualcosa che si fa” potrebbe sembrare vicina a una forma di pelagianesimo pratico: l’idea cioè che l’essere uno (o santi, o salvati) dipenda primariamente dall’impegno umano. Tuttavia, la posizione di Chiara Lubich è più complessa e ci sono ambiguità che meritano attenzione.

Il rischio del pelagianesimo

Chiara insiste moltissimo sull’atto volontario, sul “fare unità”, sul “ricominciare sempre”, sulla fedeltà all’amore reciproco come motore della presenza di Cristo tra noi (“Dove due o più sono uniti nel mio nome…”). Questo può sembrare:

  • Meccanico: “Se io amo, allora Dio viene”;

  • Condizionato: “Cristo tra noi è presente solo se io faccio la mia parte”;

  • Dipendente dalla performance: rischio di colpevolizzazione o attivismo spirituale.

  • Chi segue Chiara Lubich è in grado di realizzare un’unità più perfetta dei semplici cristiani comuni, quelli che precedono la “rivelazione” lubichiana.

Questi aspetti possono scivolare in una visione volontaristica, che prescinde dalla grazia o la riduce a premio per il nostro sforzo. Nella prassi del Movimento dei Focolari, si è spesso insistito sulla “tecnica dell’unità”: fare la comunione, essere in sintonia, vivere l’amore reciproco “a prescindere”, con una disciplina quasi funzionale. Questo può offuscare il primato della grazia, dando un’impressione di “automazione spirituale”.

Agostino (e il Magistero) come correttivo

Sant’Agostino, nel dire “non ille unus et nos multi, sed nos multi in illo uno unum”, mette in chiaro:

  • L’unità non è opera nostra, ma partecipazione all’unico Cristo.

  • L’iniziativa è sempre di Dio: noi rispondiamo.

Anche il magistero recente (es. Papa Francesco in Gaudete et Exsultate, §47–48) mette in guardia dal pelagianesimo moderno, che si traveste da attivismo ecclesiale, senza reale apertura alla grazia.

La spiritualità focolarina, se vissuta senza radicamento teologico, può diventare pelagismo pratico:

Aspetto

Rischio

Correzione agostiniana

L’unità è un “fare”

Attivismo spirituale

Partecipazione a Cristo

La presenza di Cristo “scatta” se c’è amore

Meccanicismo sacrale

Cristo agisce anche quando noi manchiamo

L’impegno crea la comunione

Prestazionalismo

La comunione è dono proveniente

La visione di Chiara Lubich sull'unità come qualcosa da "fare" ha suscitato alcune critiche teologiche, in particolare da parte del teologo domenicano Ignace Berten (vedi link). Berten ha espresso preoccupazioni riguardo a certe affermazioni di Chiara Lubich che sembrano attribuire un ruolo centrale alla sua persona nel rapporto dei membri del movimento con Dio. Ad esempio, in una lettera del 1950, Chiara Lubich scrive:

        "Ogni anima dei Focolari ha da essere una mia espressione e null'altro. [...] Anch'io, come Gesù, debbo dir loro: 'E chi mangia la mia carne...'. Per vivere la Vita che Dio ha loro data, essi debbono nutrirsi del Dio che vive nella mia anima."

Tali espressioni hanno portato Berten a sollevare dubbi sulla possibilità che Chiara Lubich si ponesse come mediatrice tra Dio e i membri del movimento, potenzialmente sostituendo il ruolo di Cristo. Inoltre, Berten critica la concezione dell'unità proposta dalla Lubich, che implicherebbe la perdita della propria personalità:

"Chi si fonde nell'Unità, perde tutto ma ogni perdita è guadagno. L'Unità esige anime pronte a perdere la propria personalità, tutta la propria personalità."

Berten teme che tali idee possano portare a un'obbedienza acritica e alla promozione della rinuncia alla personalità come virtù, aprendo la strada a manipolazioni spirituali e derive settarie. Pur riconoscendo la distinzione tra linguaggio mistico e teologico, Berten si interroga sul carattere difficilmente accettabile per la fede di alcune espressioni della Lubich.

Queste critiche evidenziano la necessità di un discernimento attento nel valutare le implicazioni teologiche delle affermazioni della Lubich, per evitare interpretazioni che possano allontanarsi dalla dottrina cattolica tradizionale.

Anche Gérard Rossè, esegeta focolarino, ha ultimamente provato a correggere questa visione meccanica insita nel pensiero della Lubich. Rossé ha recentemente affrontato il rischio di una visione "meccanica" dell'unità nella spiritualità di Chiara Lubich. Nel suo libro Una spiritualità ecclesiale. L'ecclesiologia di Chiara Lubich (Città Nuova, 2023), Rossé esamina criticamente l'interpretazione dell'unità proposta da Lubich, evidenziando la necessità di riconoscere il primato della grazia divina. Rossé sottolinea che l'unità non può essere ridotta a un risultato automatico dell'impegno umano. In un'intervista, ha affermato:

"Il rischio è di dare la prevalenza allo sforzo umano per ottenere una risposta divina. Occorre infatti ricordarsi che vengono sempre prima la grazia divina e la gratuità del dono; questo vale, per esempio, per il concetto di unità, così come per la presenza del Risorto in mezzo a due o tre radunati nel suo nome." 

Questa riflessione di Rossé evidenzia la necessità di evitare un approccio che consideri l'unità come qualcosa da "ottenere" attraverso sforzi umani, senza riconoscere l'iniziativa e il dono gratuito di Dio.

Inoltre, Rossé colloca il carisma della Lubich nel contesto dell'ecclesiologia del Concilio Vaticano II, evidenziando la sua originalità rispetto all'ecclesiologia della Controriforma. Egli afferma che l'esperienza della Lubich e del primo gruppo di focolarine, basata sulla Parola di Dio vissuta e comunicata, ha portato alla nascita di una spiritualità che enfatizza l'amore reciproco e la presenza di Cristo tra i credenti, contribuendo a una visione ecclesiale di comunione. Tuttavia, Rossé riconosce anche i limiti della spiritualità della Lubich, attribuendoli in parte alla sua formazione preconciliare. Nel suo libro, egli analizza come questa formazione abbia influenzato alcune interpretazioni e pratiche all'interno del Movimento dei Focolari, sottolineando l'importanza di una continua riflessione teologica per mantenere l'equilibrio tra l'azione umana e la grazia divina.

In sintesi, Gérard Rossé offre un contributo significativo alla comprensione e alla maturazione della spiritualità di Chiara Lubich, evidenziando la necessità di riconoscere il primato della grazia e di evitare interpretazioni che possano ridurre l'unità a un risultato meccanico dell'impegno umano.

Chissà allora che Leone XIV e Agostino aiutino i focolarini a rimettere a "fuoco" il pensiero della fondatrice accompagnandoli in una revisione adulta e critica del suo pensiero. -----

Photo by Alexas Fotos

Commenti

  1. Testuali parole di Gesù...io sono la via per arrivare a Dio...mia Madre è la via per arrivare a Me..non si arriva a Me se non tramite mia Madre..maaaa allora perché c.l. si è fatta mediatrice tra la chiesa e Dio..a raccogliere i rottami sono rimaste solo le foc..quelle che non ammetteranno mai di aver sbagliato, restano i tdg che tutti i giorni rifanno i conti sul giorno del giudizio..resta l'illusione di possedere la verità

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  2. Ho conosciuto un foc e un ateo, l'ateo nella sua vita cercava..risposte, verità, porgeva le sue mani perché le riempissero di risposte,ti dava quello che lui '''pensava di aver capito''..il foc aveva solo ''certezze'' lui sparge la verità a badilate,,ha capito ''tutto'' l'universo foc..mentitore incallito non dice mai la verità, al massimo mischia menzogne con pezzettini di verità in modo che si fraintenda tutto..secondo voi a chi vanno le mie simpatie

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  3. Saprete meglio di me del pubblicano e del fariseo al tempio..ora il fariseo non dice nulla di sbagliato..prega, fa le offerte al tempio,paga le decime pure del chicco di grano..è tutto vero..e allora perché Gesù lo condanna??? Perché si giustifica da solo..agli occhi di Dio si rende giusto..da se stesso...quante quante quante volte ho sentito foc/ne /ni dirmi noi non facciamo/fatto nulla di male, noi non sbagliamo mai...pensate..almeno il fariseo non aveva mentito

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