Pubblicato su Adista (vedi Link)
By Francesco Murru
C’è un modo molto efficace di parlare di crisi senza assumersene davvero la responsabilità: descriverla come un processo naturale, quasi biologico, che accade alle comunità come l’invecchiamento accade ai corpi. È un linguaggio elegante, rassicurante, apparentemente disincantato. Ed è precisamente il linguaggio che Luigino Bruni utilizza nella presentazione della Scuola di Economia Biblica e del suo nuovo libro “Il serpente e l’arca”(vedi post originale)* (edizioni Città Nuova). Un linguaggio che promette lucidità critica, ma che, a uno sguardo meno indulgente come il mio, appare accuratamente calibrato per non disturbare troppo il perimetro simbolico e istituzionale di cui l’autore è parte integrante (essendo ancora un consacrato nel movimento dei Focolari).
Con queste parole di presentazione della Scuola di Economia Biblica e del volume “Il serpente e l’arca” Luigino Bruni porta avanti consapevolmente la narrazione della “crisi dei carismi”. Utilizza un lessico apparentemente critico e disincantato, che riconosce il rischio dell’istituzionalizzazione, del clericalismo di ritorno e del riassorbimento nel “mainstream cattolico”. Tuttavia, proprio questa postura critica merita di essere esaminata con attenzione, perché, a mio avviso, presenta alcune ambiguità strutturali rilevanti.
Anzitutto, la crisi viene descritta come fenomeno quasi naturale, fisiologico e in larga parte inevitabile. Le cause sono appunto definite “...innocenti e quasi inevitabili”. Questa affermazione, che spiace dirlo, non si può sentire senza provare un senso di rivalsa, una reazione negativa, risulta intellettualmente disonesta e ha un indubbio peso teologico e morale, non secondario e tanto meno trascurabile: depoliticizza e de-responsabilizza le dinamiche di potere interne ai movimenti, trasformando processi storici concreti — spesso segnati da decisioni precise, omissioni, rimozioni e difese sistemiche — in una sorta di destino impersonale delle comunità carismatiche. La crisi non appare come il possibile esito di scelte errate, di strutture autoritarie autoreferenziali o di teologie implicite problematiche, ma come una “carestia di futuro” prodotta da “errate letture del passato”, formula che resta volutamente generica e non conflittuale.
In secondo luogo, il “passato carismatico” viene descritto come una “età dell’oro”, un “tesoro immenso”. Anche qui emerge una categoria classica della ipertrofica mitologia fondativa dei movimenti: il tempo delle origini come spazio sacralizzato, difficilmente maneggiabile, ma non realmente decostruibile. Non si parla mai di passato come luogo possibile di ambivalenze, patologie, dinamiche narcisistiche o spiritualmente abusive. Il problema non è ciò che è accaduto, ma come lo si legge oggi. In questo modo, la figura del fondatore — pur non nominata — resta implicitamente intatta, protetta da una critica che si arresta prima di toccare il nucleo simbolico del presunto carisma.
Dal punto di vista psicologico, questa impostazione è particolarmente significativa. La crisi viene presentata come qualcosa che “accade” alle comunità, non come qualcosa che esse possono aver prodotto e provocato anche attraverso meccanismi difensivi collettivi, coscienti e incoscienti. L’uso di metafore bibliche forti (il serpente, l’arca, la carestia, il ritorno al tempio) contribuisce a sublimare il conflitto reale, spostandolo su un piano simbolico alto, che rischia di eludere il confronto con le sofferenze concrete delle persone che hanno vissuto quelle comunità dall’interno, spesso pagando un prezzo psichico e spirituale elevato. Individui che, oltretutto, non hanno sofferto ciecamente, ma bensì accumulato consapevolezze su quella “carestia di futuro” lamentata da Bruni, e che dovrebbero essere da lui interpellati per primi, per tentare di capire cosa sia accaduto all’interno delle comunità.
È rilevante che l’SOS lanciato dal libro e dalla scuola sia principalmente rivolto “a chi vive dentro comunità ideali”, qualsiasi cosa poi voglia dire questa definizione. L’interlocutore privilegiato non sono gli ex membri, i feriti, i disillusi, né tantomeno le vittime di pratiche manipolative; sono coloro che sono ancora “dentro”. Questo orientamento conferma che l’operazione probabilmente non è una vera critica esterna o profetica, ma una riflessione interna di manutenzione del sistema, finalizzata a gestire il passaggio generazionale e la perdita di centralità del carisma di turno, senza mettere radicalmente in discussione le sue fondamenta e i suoi fondatori e fondatrici, come nel nostro caso Chiara Lubich.
Infine, sul piano ecclesiologico, il lamento per il “ritorno al sacro”, ai voti, al linguaggio clericale e al tempio appare paradossale se letto nel contesto dei Focolari. Proprio il Movimento ha progressivamente e sin dall’inizio istituzionalizzato forme di consacrazione, gerarchie interne rigide, linguaggi normativi e un forte controllo simbolico e relazionale, spesso giustificati in nome dell’unità e del presunto carisma. Denunciare oggi questi fenomeni come regressione rischia di suonare come una critica selettiva, che non riconosce il contributo interno del movimento stesso a tali derive sistemiche insite nella proposta spirituale della Lubich e dei suoi colleghi fondatori.
In sintesi, limitandomi a quanto emerge da queste parole di introduzione e presentazione della nuova iniziativa e del volume “Il serpente e l’arca” — che non ho ancora avuto modo di leggere integralmente, pur conoscendo un precedente intervento di Bruni su Avvenire* (vedi link)* in cui questi temi erano già stati impostati — ho il fondato timore che ci si trovi di fronte all’ennesimo esercizio di critica accuratamente sorvegliata. Un timore che nasce non da pregiudizi, ma da una premessa molto chiara: l’incauta e superficiale affermazione secondo cui le cause delle crisi dei movimenti sarebbero “in genere innocenti e quasi inevitabili”. Se questo è il punto di partenza, è difficile aspettarsi un’analisi che abbia davvero il coraggio di attraversare il nodo delle responsabilità e chiamare per nome i responsabili.
Il rischio, concreto, è che anche questa proposta si muova entro un perimetro ben delimitato: la crisi viene riconosciuta senza essere imputata, il presente viene problematizzato senza che il passato venga realmente desacralizzato, l’invito alla riflessione resta interno a un circuito protetto e autoreferenziale, che continua a escludere le voci di chi è stato espulso, silenziato o ferito. Se il buongiorno si vede dal mattino, una premessa che parla di cause “innocenti e quasi inevitabili” lascia presagire una teologia della crisi che assolve prima ancora di discernere, che spiritualizza ciò che dovrebbe essere giudicato, e che finisce per proteggere il sistema più che le persone.
Così il serpente resta evocato ma non spezzato, l’arca viene difesa ma non attraversata dal fuoco del discernimento, e le ferite reali — quelle inflitte in nome di Dio, dell’unità e del presunto carisma di turno — continuano a non diventare criterio teologico, ma solo un fastidio laterale. Non certo per mancanza di intelligenza o di strumenti, ma per una scelta precisa: fermarsi un passo prima del punto in cui la critica smette di essere compatibile con la conservazione del sistema. Colpisce, allora, il contrasto con quanto lo stesso Luigino Bruni coraggiosamente ammise, interrogandosi senza attenuanti sulle deformazioni vissute all’interno del Movimento dei Focolari:
«Ma perché non abbiamo detto quanto potevamo dire?», «come non mi sono accorto di alcune deformazioni?», arrivando a riconoscere l’atteggiamento infantile e il culto della persona della fondatrice come parte integrante di una dinamica collettiva, giustificata spiritualmente “per dare gloria a Dio”. E concludeva: «Potevamo fare diversamente e di più, non è stato così, ma oggi abbiamo il dovere di mettere parole su quanto abbiamo vissuto. Non bisogna negarlo né nasconderlo, riparare, e imparare da tutto, anche dalle critiche dure»." (Luigino Bruni - “101 domande su Chiara Lubich" Pag 169-170)
È proprio a partire da queste parole — non dalle mie — che nasce il timore più serio: che oggi, di fronte alla crisi dei carismi, si scelga di mettere molte parole, ma di fare ancora troppa attenzione a quali evitare.
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https://inciampocarapace.blogspot.com/2023/06/luigino-e-il-serpente.html

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