L'occasione d'oro

"Rifiutassimo pure ogni profondità, se cela un monte l’oro né più alcuno vuol cercarlo, lo porta in luce, un giorno il fiume, lo coglie nel silenzio dei gravidi macigni. Anche se non vogliamo: Dio matura." R.M.Rilke*

Soavissima tirannia – una rilettura dei “primi tempi” focolarini




Piazza Cappuccini 2 Trento - Primo focolare

“Non troverai mai la verità,
se non sei disposto ad accettare
anche ciò che non ti aspettavi di trovare.”
Eraclito

By Tomáš Tatranský

Stiamo ormai vivendo nei tempi di “fedeltà creativa” (o “dinamica”) di coloro che, pur inseriti nel Movimento dei focolari, cercano di distinguere ciò che sarebbe il (presunto) “puro” carisma di origine divina dagli elementi, diciamo, imperfetti, legati alla persona della fondatrice, alla sua umanità influenzata dalle circostanze del suo tempo: impresa assai ardua, dato il fortissimo culto di personalità della Lubich, ben radicato e coccolato nel movimento da parecchi decenni.

Il libro di Michele Zanzucchi, focolarino consacrato, studioso e scrittore, già direttore della rivista dei Focolari Città Nuova, “La casetta”* propone, in fondo, questo: rileggere il periodo di fondazione – i famosi “primi tempi” – non limitandosi alla narrazione ufficiale del movimento, ma arricchendola con una alternativa, complementare e in parte decisamente divergente.

Questa nuova rilettura critica si basa in particolare sui documenti finora inediti di Raffaella Pisetta**, una delle prime tre compagne che decisero di convivere con Chiara Lubich. Raffaella Pisetta e Bianca Tambosi (la terza compagna era Natalia Dallapiccola) subirono storicamente una vera a propria damnatio memoriae.

Raffaella Pisetta (1914-2009)

Raffaella Pisetta (1914-2009)

Nelle parole che seguono cercherò, a mo’ di recensione, di mettere a fuoco proprio questo aspetto critico che rivela un profilo per certi versi sconcertante di Chiara Lubich (al secolo Silvia), da molti considerata non una persona umana perfettibile, bensì un essere quasi angelico, un pennello immacolato e assolutamente docile nelle mani di Dio, presenza mistica di Maria sulla terra e via dicendo, anzi via fantasticheggiando.

Cominciamo con qualche premessa: nelle pagine introduttive Zanzucchi dichiara di voler contestualizzare certi comportamenti non soltanto della Lubich, ma anche di padre Casimiro, cappuccino e suo direttore spirituale: Chiara Lubich e le sue prime compagne, inclusa Raffaella Pisetta, erano infatti tutte terziarie francescane. Comportamenti “oggi reprensibili o intollerabili” (p. 9), modi di fare che “oggi possono apparire al limite dell’autoritarismo, persino dell’abuso” (ibid.). Secondo Zanzucchi, fatta la dovuta contestualizzazione, questi eccessi vanno giudicati come “pura normalità” (ibid.) tipica dell’epoca, come “assoluta normalità nell’ambiente cappuccino, francescano e religioso” (ibid.) in una Trento tanto cattolica quanto provinciale, negli anni quaranta poi, ben 20 anni prima del Concilio Vaticano II. 

Sembrerebbe quasi un ragionamento impeccabile, se non fosse che, più avanti nel libro, Zanzucchi stesso si contraddice: lo fa quando, per esempio, racconta come la Lubich e le sue prime compagne portavano cilici “con punte di ferro che si conficcavano nella carne” (p. 94) – a questo proposito Zanzucchi precisa: “guarda caso, a Chiara capitò quello con le punte più aguzze: talvolta lo prestava alle sue compagne come qualcosa di prezioso” (pp. 94-95). Ora, quando alcune persone non strettamente legate alla “Casetta” (in seguito ribattezzata “il primo focolare”) scoprirono che queste ragazze praticavano la penitenza corporale in questa maniera estrema, reagirono con forte perplessità e “ci volle tutta l’autorità di padre Casimiro per evitare che lo scandalo scoppiasse” (p. 95). Inoltre, Zanzucchi ammette che l'esistenza delle terziarie alla Casetta non era quel che si potrebbe definire una vita tranquilla. Osservata dall’esterno, la si sarebbe detta una casa di “pazzerelle” (termine che la stessa Lubich talvolta usava). Scriverà Raffaella Pisetta nel suo diario: «Si faceva una vita stramba, si era in un’atmosfera di pazzia collettiva» (p. 122). Infine, Zanzucchi scrive che l’esito dell’inchiesta diocesana avviata dall’arcivescovo di Trento mons. Carlo de Ferrari circa la cattolicità del nascente movimento creatosi intorno a Chiara “fu «strano», come lo definì de Ferrari stesso, perché don Heppergher (uno dei due sacerdoti incaricati dell’inchiesta) era sfavorevole ai due accusati (Chiara e padre Casimiro, denunciato, tra l’altro, di aver rotto il segreto confessionale), e l’altro al contrario, don Zorer, era favorevole alla Casetta” (p. 184). Anche se la decisione finale dell’arcivescovo fu favorevole (ma il dossier delle accuse fu mandato al Vaticano per ulteriori indagini), mi sembra azzardato parlare quindi, come fa Zanzucchi, di pura o assoluta normalità. (p. 9)

Continuando con le premesse, bisogna ribadire che Zanzucchi – da buon focolarino – cerca, anche se non sempre, di annacquare un po’ il “veleno” che percepisce in alcune opinioni di Raffaella Pisetta. Cerca anche di interpretare i comportamenti e le decisioni della Lubich per lo più in chiave positiva. Un esempio, a proposito della già menzionata damnatio memoriae: “Il silenzio che ha finora accompagnato la vicenda di Raffaella è stato determinato in primo luogo, va detto, dal desiderio della Lubich di evitare che fosse pronunciata “una sola parola” contro di lei [contro Raffaella Pisetta] (p. 10). Ma siamo proprio così sicuri? Non è piuttosto plausibile l’ipotesi che Chiara abbia vietato a tutti di parlare o scrivere di Raffaella? Ossia che Chiara abbia comandato che Raffaella Pisetta fosse completamente cancellata dalla storia, perché temeva che venissero fuori cose imbarazzanti, per non dire scandalose, su di lei, Chiara? 

Comunque sia, Zanzucchi mi sembra tutto sommato abbastanza equilibrato, almeno nel senso che non sembra voler distorcere sostanzialmente i ragionamenti di Raffaella Pisetta. Direi che una delle tesi principali del libro è la convinzione di Zanzucchi che c’è (…) solo da constatare che i due microuniversi umani della Lubich e della Pisetta non si incontrarono (ibid.). E ancora: “L’ispirazione per Chiara doveva venire dalla mistica, per Raffaella dall’umanità” (p. 131).

Ripercorriamo ora alcuni punti salienti della “contronarrazione” di Raffaella Pisetta, la quale, Zanzucchi lo dice volentieri, era una ragazza in gamba, intelligente, generosa, equilibrata, dotata di buon senso nonché di una spiccata sensibilità sia verso i problemi sociali, sia verso il bello, in particolare verso la poesia. Tra parentesi: fu proprio Raffaella Pisetta che nel '44 riuscì a trovare l’alloggio stabile – la “Casetta”, appunto, appartamento in piazza Cappuccini 2 – per le sue compagne terziarie. Era intestato a lei, ma non solo. Raffaella Pisetta sostenne economicamente il primissimo gruppetto col vitto e l’alloggio per almeno un anno, dato che era l’unica a ricevere uno stipendio regolare.

Raffaella non era una “discepola” della Lubich, bensì una terziaria attratta dall’ideale francescano che cominciò a vivere con Chiara, Natalia Dallapiccola e Bianca Tambosi “quasi per gioco, come conseguenza logica dei tempi difficili, del non saper dove dormire, mangiare…” (p. 179 – sono parole di Raffaella). A tutte venne spontaneo mettere in comune ogni cosa, compresi i soldi. Ora, “Chiara volle che anche le entrate, e non solo le spese, fossero gestite da lei stessa, anche se non era ancora considerata appieno da padre Casimiro la responsabile della comunità [cioè, per essere precisi, la “maestra delle novizie” del Terz’ordine]. Aleggiava ancora, infatti, una certa parità tra Raffaella e Chiara” (p. 107). “Padre Casimiro – continua Zanzucchi – arrivava spesso carico di sacchi di farina o riso, confezioni di marmellata, olio, pesce in scatola: erano per i poveri. Nella lista dei poveri c’era la famiglia Lubich (…). Quelle derrate talvolta finivano a Luigi [padre di Chiara Lubich] e alla sua famiglia. Inoltre, qua e là, si usavano quelle derrate anche per il normale funzionamento della Casetta, anche se Raffaella e Bianca, le più anziane e sperimentate, storcevano il naso. E lo facevano anche quando Chiara regalava sua sponte ai poveri ogni cosa, quasi fosse sua, di diritto. Nell’aprile 1945, padre Casimiro fece una lavata di capo a Raffaella, perché continuava a usare il denaro da lei guadagnato per le faccende di casa, sentendosi ancora “padrona di casa”. Spinse perciò la Pisetta a consegnare l’intero suo stipendio a Chiara. Cosa che Raffaella fece, un po’ controvoglia a dire il vero. Per di più la Lubich voleva, secondo la Pisetta, che la busta le fosse consegnata nelle mani, non deposta nel cassetto dei soldi come faceva la sua compagna” (ibid.).

“Un capitolo delicato – nota Zanzucchi – era pure quello della disparità di trattamento che Chiara riservava alla sua famiglia, favorita, beneficiata e anche riverita, i cui membri avevano perenne accesso alla Casetta, rispetto alle altre ragazze che non avevano gli stessi privilegi: dovevano dimenticare i legami di consanguineità «per non essere attaccate agli affetti umani»” (p. 126). E ancora: “Per quanto riguardava le faccende di casa, sempre secondo Raffaella Pisetta, a Chiara non l’interessavano, né voleva occuparsene. «Non posso perdere tempo in queste cose – diceva –, perché la mia missione è di tutt’altra natura». Per quanto cercasse di superarsi, Raffaella chiese un giorno a padre Casimiro: «Perché mai, Padre, lei usa due pesi e due misure, uno per Chiara e l’altro per me? Perché trova naturale che Chiara, pur stando a casa, non lavori, e che io, pur andando in ufficio, lavori nelle faccende domestiche?» La risposta fu semplice: «Figliola, Chiara non è abituata, poverina, lei è capace di parlare non di sfaccendare». Così Raffaella rilevava spesso l’incongruenza di quell’ospite che, nella casa che non le apparteneva, pretendeva di essere servita e obbedita. Ma non solo lei chiedeva obbedienza: secondo Raffaella, anche la famiglia Lubich aveva «la stessa arroganza», avendo «recapito, alloggio e punto di rifornimento» in piazza Cappuccini 2” (pp. 146-147).

Un altro aspetto che viene evidenziato nel libro è l’incapacità della Lubich di gestire in maniera serena il dissenso, anzi anche le più piccole divergenze. Di fronte a una critica, Chiara non intavolava mai un dialogo sincero a aperto, sembrava che non riuscisse a capire che anche un momento di discordia sarebbe potuto diventare un’occasione per crescere e migliorare insieme, per correggere magari un modo di fare obsoleto o poco efficace. No, Chiara esigeva dalle sue discepole l’adesione, anzi l’obbedienza totale e cieca, senza “se”, senza “ma”: era lei l’unica portatrice della verità – o meglio, s’illudeva di esserlo. Alcune delle sue compagne, poi (specialmente Natalia Dallapiccola), rimanevano stupite ogniqualvolta qualcuno osava opporsi alla loro maestra per eccellenza. Di fronte a delle critiche Chiara si ritirava, si rattristiva, piangeva, o perfino sprofondava nelle “notti” (Zanzucchi le chiama “buchi neri”: cf. pp. 135-139), ovvero (credute) prove spirituali, spesso legate alle situazioni di esaurimento psicosomatico, durate a volte alcuni mesi.

Insomma, Chiara – secondo Zanzucchi – fatta sua una visione più o meno manichea della vita (p. 124), si sentiva investita di “una grande autorevolezza nella sua missione, o addirittura, secondo l’espressione che più tardi userà lo stesso arcivescovo de Ferrari, a esercitare tra le terziarie una «soavissima tirannia» (…). Notava ancora Raffaella: «L’autorità assoluta, che Chiara chiamava d’amore, ma che era invece di dispotismo, poteva esserci a un solo patto: lo svuotamento della volontà e del giudizio»” (ibid.). L’amore a sua volta – aggiunge Raffaella Pisetta – era percepito, nella visione misticheggiante di Chiara, come qualcosa di divino, staccato, anzi contrapposto all’umano, alla ragione: “La ragione era contraria all’amore, il giudizio era demoniaco” (p. 123).

Delicato e complesso era il rapporto tra Chiara e padre Casimiro – ne evidenzio qui soltanto un aspetto. Un giorno Raffaella Pisetta chiese a padre Casimiro “perché mai esistesse in Chiara Lubich quella «specie di prerogativa» per cui riteneva di aver sempre ragione. Non ebbe risposta diretta. Gli diede un esempio: un giorno Chiara pianse a lungo (secondo Raffaella era quella la sua astuzia per vincere le altrui resistenze, specialmente con padre Casimiro), perché non accoglieva la sua [di Chiara] tesi che il santo, in quanto tale, diventerebbe per assimilazione un grande poeta, un eccelso pittore, un impareggiabile scultore, senza contare la capacità del santo di sciogliere qualsiasi problema, vuoi filosofico e teologico” (p. 146).

A proposito dell’anelito della Lubich di assimilarsi ad ogni realtà bella e/o divina, anzi di identificarsi, in virtù di una pseudomistica di fusione con queste realtà – non di unità quindi che almeno nella teologia cristiana salvaguarda la distinzione e l’alterità – riportiamo un altro brano molto significativo del libro, che parla della “tendenza della Lubich all'immedesimarsi nell’oggetto della sua contemplazione, usando la prima persona: «Io sono il Padre»; «Oggi sono il Figlio»; «Mi ritrovo a essere la Madre» e via dicendo (vedi link). Raffaella Pisetta ci fa ancora notare: «Dio le aveva dato una grande missione (“così grande che nessuno mi capirà”) e identificando sé stessa nel Figlio, nella “luce”, nella “verità”, nella “bocca della verità”; riferiva a sé stessa, invece che a Dio, le parole del Testamento di Gesù. Difatti l’unità non era “essere una cosa sola” in Dio, ma una sola cosa “in lei”, che unicamente aveva la verità, che sola rappresentava la volontà divina, che sola possedeva non “un ideale”, ma “l’Ideale” che avrebbe salvato il mondo» (p. 127).

Non aderire a Chiara (o farlo ma non proprio al 100%) significava quindi “rompere l’unità”: “L’idea di «rompere l’unità» era assai presente alla Casetta. Ma cosa significava? Secondo Raffaella Pisetta, «essere stati sereni senza dimostrare entusiasmo con piccoli gridi; non fare lo sforzo grottesco di essere infantili a ogni costo [infatti, Chiara chiamava le sue compagne “pope”: vuol dire “bambine” nel dialetto trentino]; esser rimasta seria e un po’ fredda al racconto delle illuminazioni di Chiara; non aver dimostrato ansia di correrle incontro e di starle vicino; cercar di tenere un comportamento meno ridicolo e più corretto per strada, ove bisognava andare in crocchio e fare a gara nello stringersi a lei per ascoltare la sua inesausta parola» (p. 126). 

Inoltre, anche una verità che era scomoda per Chiara rompeva l’unità: secondo Raffaella la tesi favorita della Lubich era, “«ogni bugia, purché fosse coperta da un velo di creduta carità, era possibile»” (p. 181).

Ansia, quindi, ovvero tensione scrupolosissima alla santità o alla perfezione. Frutto di questa tensione era decisamente un notevole stress e una vita poco ordinata, segnata da iperattivismo. Chiara era nota per le sue giravolte, come noterà ancora una volta la Pisetta: «Faceva programmi, li cambiava, li rifaceva, elenchi di anime divisi per “rendimento”, indiceva adunanze, ritiri, raduni, e all’ultimo momento cambiava idea sull’ora, sulla convenienza di invitare queste o quelle, sul luogo del ritrovo… Un fare e disfare continuo, con grande agitazione di ordini e contrordini» (p. 125). 

Va notato che neppure le notti erano proprio tranquillissime: “c’era una pratica ulteriore, notturna: ci si svegliava a mezzanotte per flagellarsi il dorso con apposite catenelle, per il tempo della recita di un Salve Regina. Chiara lo faceva sempre per prima, poi svegliava Natalia, la quale a sua volta si batteva con quelle catenelle per poi svegliare Doriana, e così via, fino al mattino. Non era facile per le ragazze, dopo quella pratica, rimettersi a letto con la schiena scorticata” (p. 95). Altre forme di penitenza “dormire su assi dure, per terra, senza materasso” (ibid.); masticare foglie amarissime di assenzio, stare assolutamente zitte per uno o più giorni (cf. ibid.).

Non sorprende minimamente, in questo contesto bigotto, che ogni rottura dell’unità era fondamentalmente interpretata come opera del diavolo (cf. p. 165). Ma c’è di più: Chiara arrivò ad affermare che chi non corrispondeva alla vocazione all’unità – all’unità vista come una fusione che distruggeva le personalità di chi si lasciava fondere – sarebbe bruciato eternamente nell’inferno. Lo si legge chiaramente in una lettera che la Lubich indirizzò a Raffaella nel 1947, dopo che quest’ultima lasciò la Casetta (che, ricordiamolo, era a termine di legge casa sua) semplicemente perché non ce la faceva più, dopo oltre due anni di convivenza con Chiara: “«Mi sembra – scrive Chiara – che tu sia vittima della disunità. Finché tutto andava liscio, eri contenta con tutte le altre; quando incominciarono i dolori dell’unità, che devono sempre esserci perché dobbiamo morire alla nostra personalità per fonderci, allora ti sei allontanata. (…) Il Signore ha permesso questo periodo di prova per vedere chi era nell’unità per amor di Dio o per amor di sé. Comunque tu sei libera di far quel che vuoi, perché per salvarsi non occorre essere dell’unità, a meno che questa non sia stata per te una chiamata alla quale dovevi corrispondere»” (pp. 164-165). 

Qui, Chiara non ha espressamente affermato se Raffaella sarebbe finita all’inferno, ma lo fece pochi mesi prima, come scrive Zanzucchi: “Raffaella si costrinse a chiedere a padre Casimiro il permesso d’andarsene (…). Era decisa a farsi suora di clausura piuttosto che rimanere «in una vita siffatta, poco dignitosa». Padre Casimiro cercò di dissuaderla, ma rimase scosso. Per il resto della mattinata, il cappuccino stette in colloquio con la Lubich, e al termine entrambi comunicarono a Raffaella che la sua vocazione non era il convento ma l’unità. Anzi, non solo l’unità, ma la vita in comune con Chiara. «Pena la dannazione», riferirà Raffaella” (p. 147).

Per riassumere e concludere, lascio ancora parola a Zanzucchi: “Nella “dottrina” che s’avanzava, fondamentale appariva la necessaria rinuncia alle espressioni “umane”, per installarsi nel “soprannaturale”, una distinzione difficile da avallare per i teologi di oggi – sarebbe stato più semplice se si fosse parlato di “umano” e “divino” –, visto che lo stesso Cristo ha fatto propria l’umanità. Per Chiara “umano” era spesso sinonimo di “subumano”, e “soprannaturale” di “superumano” (p. 123). 

Siamo sicuri Zanzucchi che si tratti solo dei “teologi di oggi”? Ho dei dubbi: infatti, se prendiamo in considerazione il famoso principio che risale alle grandi figure della scolastica medievale, secondo il quale gratia supponit naturam, non destruit, sed perficit eam (La grazia suppone la natura, non la distrugge, ma la perfeziona), vediamo subito quanto il misticismo esasperato della Lubich diverga dalla sana tradizione cristiana. 

Alcuni focolarini, come Michele Zanzucchi appunto, vorrebbero purificare il messaggio dei Focolari, il “carisma dell’unità”, come si suol dire, da ciò che lo lega all’epoca storica e ai tempi della fondazione. Mi domando se il compito non sia piuttosto quello di purificare questo messaggio da ciò che era legato alla persona stessa di Chiara Lubich.


------

La casetta – Silvia (Chiara) Lubich e alcune delle sue prime compagne (autunno 1944 - estate 1948). Michele Zanzucchi – Città Nuova Editrice 2023:

"Una storia aggiornata dei primi anni del Movimento dei Focolari. La vicenda trentina di Silvia “Chiara” Lubich e delle sue prime compagne racconta di un carisma al servizio dell’unità che tanti frutti ha portato alla Chiesa e all’umanità intera nei decenni seguenti. A quasi ottant’anni da quei giorni, la consultazione di documenti e una serie di interviste permettono di tracciare la storia di quei primi tempi con nuovi dettagli e nuove prospettive, arricchendo così il racconto della fondazione del Movimento dei Focolari di notizie finora ignote." 

** Raffaella Pisetta (24 settembre 1914-18 aprile 2009), giornalista, scrittrice e poetessa, impegnata nel sociale e nella politica. Negli anni Cinquanta ha lavorato a Milano come redattrice della rivista Gioia pubblicata dal Corriere della Sera. È stata consigliera comunale a Trento durante la legislatura dal 1960 al 1964. Presidente provinciale al CIF (Centro Italiano Femminile). Negli anni '60-'70 ha collaborato nell'associazione nazionale dei Villaggi del fanciullo SOS in Italia ed è stata membro del comitato promotore e dei primi consigli di amministrazione del villaggio SOS di Trento. Ha collaborato a vari giornali e riviste con articoli letterari e d'informazione. È stata una poetessa molto apprezzata.
 


Commenti

  1. Incredibile il lavoro che ha fatto Zanzucchi con questa ricerca e publicando questo libro su Città Nuova. Un paso iniziale importante nella direzione necessaria per il Focolare oggi.

    Grazie del riassunto.

    RispondiElimina
  2. Per quasi 50 anni ho avuto a che fare con foc/ne che si facevano servire in tutti i modi, che cercavano di schivare qualunque lavoro, lo scopo della loro vita era solo andare a incontri e per tutto questo tempo ho pensato che il problema fosse ristretto solo ad un piccolo gruppo di persone che aveva qualche problema, qualche anno fa ho scoperto che già la fondatrice del mov aveva questo problema, propagatosi poi a cascata fra i dirigenti..egr. tartarughe..il vostro sito ha solo confermato ciò che io vedevo da decine di anni..il mio problema e forse anche il vostro è stato il pensare che un giorno certe persone capissero... ecco il vostro -articolo- ha solo confermato quello che ho visto in questi anni..e anche quanto sia vero il detto che il pesce comincia a puzzare dalla testa..a mio parere..il marcio si è propagato il pesce è da buttare..come quando in un cesto di mele marce si tenta di prendere qualche spicchio ancora buono..si tenta di mettere pezze nuove su un vestito ormai tutto lacero..le persone che nel mov hanno il loro tornaconto torneranno a far marcire le mele sane

    RispondiElimina
  3. Bravo Michele. Vai avanti... (stai lontano da Lucia Abignente & Centro Chiara Lubich).

    RispondiElimina
  4. Michele dovresti scrivere qualcosa con Luigino Bruni! Lui è del tuo stesso spessore e onestà.

    RispondiElimina
  5. L'attuale responsabile della sezione studi e ricerca storica del Centro Chiara Lubich, nonché membro del comitato direttivo per la pubblicazione delle sue Opere, è una persona appartenente al "vecchio sistema" o al "cerchio magico" del Focolare, il cui principale obiettivo è quello di presentare una narrazione distorta e lontana dalla realtà. In questo suo "compito", lei è impegnata a screditare, tra i focolarini, i suoi antagonisti. Inoltre, non possiede neppure le capacità necessarie per svolgere tale compito, e sembra che la vera figura di potere e di intelletto dietro di lei sia in realtà sua sorella, una teologa napoletana.

    RispondiElimina
  6. Firenze, 14 giugno 2023 di Michele Zanzucchi

    Caro Tomáš, ti ringrazio per questa recensione così approfondita. Non è frequente leggerne di simili, il che rende orgoglioso l’autore del libro che è stato letto così attentamente. Ti rispondo intercalando la tua recensione con i miei commenti.

    <Stiamo ormai vivendo nei tempi di “fedeltà creativa” (o “dinamica”) ...
    <Il libro di Michele Zanzucchi....
    <Questa nuova rilettura critica...

    In realtà, Silvia aveva espresso il desiderio che non uscisse dalla loro bocca una sola parola contro Nella. Le sue compagne, invece, che da tempo non vedevano di buon occhio la Pisetta, semplicemente la eliminarono dal racconto della fondazione.

    <Nelle parole che seguono...

    Su questo dissento, caro Tomas. Un’analisi approfondita e onesta delle pratiche vigenti nei conventi e nei monasteri dell’epoca porta a capire come tali pratiche, come le penitenze corporali, fossero normalità.

    <Sembrerebbe quasi un ragionamento impeccabile...

    Come sopra.

    <Inoltre, Zanzucchi ammette...

    E invece no, era normalità. Solo che la Lubich proponeva alcune innovazioni che non potevano essere accettate dal clero e dalla comunità cattolica senza reagire: una donna osava fare cose che di solito solo i preti facevano.

    <Continuando con le premesse...

    Non mi risulta.

    <Ossia che Chiara abbia comandato...

    Può darsi che abbia giocato quanto tu dici, ma Chiara fino al 2001 cercò di ritrovare Raffaella per comporre il lungo dissidio. Ovviamente, la testimonianza di Nella deve essere controbilanciata dalle numerosissime testimonianze a favore della Lubich.

    <Comunque sia, Zanzucchi mi sembra...

    Grazie di questa nota: ho cercato di essere onesto nella mia analisi.

    <Ripercorriamo ora...

    Anche Natalia lavorava, ma veniva pagata poco e male. La Tambosi, invece, dirigeva l’Opera Serafica dei cappuccini, con uno stipendio bassissimo. Silvia, invece, come aveva cominciato a fare a 13 anni per mantenere la famiglia, visto che suo padre non aveva un lavoro regolare, dava ripetizioni.

    ....CONTINUA

    RispondiElimina
  7. .... (Firenze, 14 giugno 2023 di Michele Zanzucchi. Caro Tomáš, ti ringrazio per questa recensione così approfondita. Non è frequente leggerne di simili, il che rende orgoglioso l’autore del libro che è stato letto così attentamente. Ti rispondo intercalando la tua recensione con i miei commenti.)

    <Raffaella non era una “discepola” della Lubich...

    Ci sono questioni da elucidare ancora, sulla gestione dei soldi della Casetta. Anche se testimonianze molteplici sottolineano che i soldi servivano soprattutto per i poveri (e Raffaella non lo smentisce). Tra questi c’erano anche le famiglie Lubich e Bonetti: erano veramente poveri.

    <“Un capitolo delicato – nota Zanzucchi – ...

    Queste sono opinioni della Pisetta, che non ho voluto censurare. Ma non possono essere prese come verità indiscutibile. La stragrande maggioranza delle giovani donne della Casetta non erano dello stesso avviso, senz’altro.

    <Un altro aspetto che viene evidenziato...

    Questo passaggio mi sembra tu lo abbia distorto un po’. Sono parole di Violetta Sartori, che sottolinea come la Lubich, di fronte alle rimostranze della Pisetta, non opponeva mai le barricate, ma la lasciava sfogare per evitare guai maggiori. Poi cercava di ricomporre il dissidio, spesso con l’aiuto di padre Casimiro. Perché non reagiva? Quanto alla “cieca obbedienza”, era normalità all’epoca nelle organizzazioni cattoliche trentine e in particolare negli istituti secolari di consacrate, non svelo nulla di particolare dicendo ciò. Bisogna contestualizzare.

    <Insomma, Chiara – secondo Zanzucchi – ...
    <Delicato e complesso era il rapporto...
    <A proposito dell’anelito della Lubich...

    Qui entriamo in una materia delicata, in cui non sono un grande esperto: la mistica e il suo linguaggio. L’identificazione con l’amato, cioè con Gesù, è assai frequente negli scritti mistici, in particolare femminili.

    <Non aderire a Chiara...

    L’unità era un concetto molto poco praticato in ambiente cattolico, perché ritenuto un concetto comunista. Silvia cercava di introdurlo e di spiegarlo, senza precedenti esempi, il che può averla portata a usare concetti poi rivelatisi poco o nulla ispirati, oppure a chiedere atteggiamenti con autorità (più che con autoritarismo), quella che le veniva dallo Spirito.
    E qui introduco la divergenza delle nostre opinioni: tu ritieni che nelle parole e nell’agire della Lubich non vi fosse ispirazione carismatica. Io, invece, penso che Silvia-Chiara fosse, e sia, portatrice di un carisma. Nemmeno Raffaella lo aveva capito. Su questo credo che siamo su fronti diversi. Ma se guardi all’immenso bene che tanti e tante hanno ricevuto da Chiara, accanto a coloro che invece ne hanno sofferto, beh, forse… La domanda mi sembra lecita.

    <Inoltre, anche una verità...
    <Ansia, quindi, ovvero tensione...
    <Va notato che neppure le notti...
    <Non sorprende minimamente...
    <Qui, Chiara non ha espressamente affermato...

    Queste erano espressioni comuni all’epoca; prendete un qualsiasi messalino di quel periodo e le troverete.

    <Per riassumere e concludere...
    <Siamo sicuri Zanzucchi...

    Su questo, almeno in parte, dissento. Chiara aveva una natura ricca, dirompente a tratti, che talvolta le creava qualche problema, è vero. Ma è l’insieme della sua vita che deve essere presa in conto. E, anche, distinguere quel che era suo e quello che altri (e altre) le hanno attribuito.

    <Alcuni focolarini...

    Onestamente, ho cercato di fare tutte e due queste operazioni. Comunque, Tomas, grazie della tua lettura del libro. I posteri diranno se Chiara era portatrice di un carisma vero. I frutti ce lo diranno. Grazie ancora. Michele Zanzucchi

    RispondiElimina
  8. Da Tomáš Tatranský
    Caro Michele, grazie di cuore per i tuoi commenti, onesti come tutto il libro. (Mi è stato regalato da Jirka K. del focolare di Praga.) Ovviamente, avendo scritto questa semplice recensione per un blog che cerca di mettere a fuoco gli errori di Chiara "o di chi l’ha mal consigliata", l'ho impostata in una certa maniera, cioè dando voce soprattutto a Raffaella. Personalmente sono convinto che c'è un carisma e che c'è anche tanta mistica sana, tanta santità e tanti spunti di riflessione teologica nell'Opera. Il problema mi sembra soprattutto ciò che tu stesso identifichi come una visione manichea che, purtroppo, ha portato anche tanti frutti amari: penso soprattutto a tante pope che nei focolari femminili non potevano esprimere bene la propria personalità. Comunque ti ringrazio per questo libro e spero che il dialogo tra quelli che, come te, sono rimasti, e noi che ci siamo un po' ribellati continuerà.

    RispondiElimina

Posta un commento

Per favore, commenti da adulti. Si può essere non d'accordo con i temi del blog, basta farlo presente con gentilezza. Qualsiasi tipo di insulto o buttata in caciara verrà ignorato. Please get used to it!